L’osservatorio astrofisico di Torino

Fare San Martino. È uno di quei modi di dire che appartengono al territorio a vocazione agricola della pianura padana e significa “cambiare lavoro e luogo di lavoro” o, in senso più ampio, “traslocare”. In piemontese suona così: fé San Martin. Capita, ed è capitato spesso, anche agli astronomi di dover traslocare.

1759: il re Carlo Emanuele III dà mandato all’astronomo Giovanni Battista Beccaria di misurare l’arco di meridiano che passa da Torino e fa riadattare a sue spese una torretta posta su una casa all’imbocco della centralissima via Po, dove l’astronomo possa fare i calcoli con i suoi strumenti. Il primo trasloco arriva nel 1790 quando è pronto il primo vero e proprio osservatorio sul tetto dell’Accademia delle scienze. Nel 1822 Giovanni Plana trasferisce i pochi strumenti a sua disposizione a Palazzo Madama, aggiungendone altri più evoluti e dando inizio a un’attività osservativa sistematica. Nel giro di cinquant’anni la luminosa e rumorosa città si rivela un luogo per nulla adatto a fare osservazioni del cielo notturno. Tra il 1907 e il 1912 Giovanni Boccardi fa spostare l’osservatorio a Pino Torinese, sul Bric Torre Rotonda a 620 metri sul livello del mare. 

Oggi, in seguito alla fusione con l’Istituto di fisica dello spazio interplanetario nel 2012, è sede dell’Inaf – Osservatorio astrofisico di Torino. Le sue linee di ricerca spaziano dall’astrometria alla coronografia solare, dalla cosmologia locale allo studio di stelle e pianeti extrasolari, dall’astrofisica extragalattica e dei plasmi alla fisica astroparticellare, e includono attività di progettazione e sviluppo di strumentazione a Terra ma anche di missioni spaziali. Fare San Martino con la migliore tecnologia che abbiamo a disposizione, per raggiungere il deserto di Atacama o un punto lagrangiano a un milione e mezzo di chilometri da qui, è di certo impegnativo. Ma cosa non si fa per un attico con vista. 

(ph. Riccardo Bonuccelli)

I laboratori dello IAPS

C’è un posto in Europa dove scienziati e scienziate hanno dato vita a un vero e proprio assembramento. Non c’è altro modo di dirlo: in un’area di poco più di trenta chilometri quadrati hanno trovato posto il centro europeo per l’osservazione della Terra dell’Esa, l’Agenzia spaziale italiana, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, i laboratori nazionali dell’Infn, l’Università di Roma Tor Vergata, numerosi istituti e laboratori del Consiglio nazionale delle ricerche. 

È l’area di Frascati. 

C’è anche chi da queste parti volle costruire il primo laboratorio italiano di astrofisica spaziale. Come Livio Gratton. E chi negli stessi anni diede vita a un laboratorio di ricerca e tecnologia per lo studio del plasma interplanetario. Come Edoardo Amaldi e Bruno Rossi. Non è un caso, dunque, se oggi in questo fazzoletto di terra si progetta la ricerca spaziale di domani: astrofisica delle alte energie, cosmologia ed evoluzione galattica, fisica spaziale, space weather, formazione ed evoluzione spaziale, studio dell’interazione gravitazionale, scienze planetarie, tecnologia, innovazione. 

In questo numero di Universi siamo entrati nei laboratori dell’Inaf Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali. Buona visione.

Ph. Valerio Muscella

I laboratori di Palermo

Dunque. Tenete a mente che la fusoliera di un Boeing 737 è più corta. Di cinque metri buoni. Già questo può restituire un’idea di quanto sia complesso gestire una linea da vuoto lunga 35 metri, con sorgenti, rivelatori, filtri sottili quanto una bolla di sapone, in grado di resistere alle sollecitazioni di un razzo in fase di decollo, e che consente di effettuare test e calibrazioni su componenti e dispositivi satellitari. Tecnologia sofisticatissima, come quella che sarà utilizzata per Athena, il grande osservatorio a raggi X dell’Agenzia spaziale europea.

Siamo a Palermo, nei laboratori dell’Inaf di via Ingrassia, quelli della fu Specola Panormitana: l’Osservatorio Astronomico. I laboratori ospitano, per l’appunto, la struttura Xact (X-ray Astronomy Calibration and Testing), ma non solo. C’è il laboratorio Life (Light Irradiation Facility for Exochemistry) in cui si produce ghiaccio interstellare artificiale, fondamentale per chi vuole dare risposte alle grandi domande sulle origini della vita nell’universo. C’è il laboratorio di microtecnologie, per la caratterizzazione dei materiali dal punto di vista ottico e meccanico. C’è il laboratorio di criogenia, capace di riprodurre temperature prossime allo zero assoluto. E c’è un supercomputer che consente di effettuare dettagliatissime simulazioni tridimensionali di fenomeni astrofisici.

Vi sembra manchi qualcosa? Beh, potete pur sempre fabbricarla in house, accedendo all’officina. Sapete come sono gli astrofisici: artigiani della qualità. Con buona pace di chi avrebbe preferito un divano.

Ph. Riccardo Bonuccelli

La facility di Ottica Adattiva di Arcetri

Bastano pochi minuti, anche perché è davvero a un tiro di sasso dal centro. Si risale il viale alberato del Poggio Imperiale, dando le spalle a Porta Romana e a tutta Firenze, ricolma di turisti. Eccola Arcetri, con il suo piccolo borgo di case, le dolci colline toscane e villa Gioiello, quella dove Galileo Galilei ha trascorso i domiciliari dopo la condanna del Sant’Uffizio nel 1633. L’osservatorio astrofisico si trova sulla collina di fronte.

Con Universi siamo entrati nella facility di Ottica Adattiva. Un laboratorio (e un intero gruppo di lavoro) che ha un’esperienza consolidata in disegno, realizzazione, test e operatività osservativa di sensori di fronte d’onda a piramide e specchi secondari adattivi. Da quando nel 2018 è diventata operativa, ha ospitato attività fondamentali come le prove di fasatura dello specchio M4 del futuro Extremely Large Telescope in Cile o l’integrazione e il test del prototipo di sensore per il Giant Magellan Telescope in Arizona.

Ph. Riccardo Bonuccelli