Collisione fra quasar e galassie viste da Webb

Collisione fra quasar e galassie viste da Webb

Grazie ai potenti strumenti Alma, Jwst e Hubble oggi siamo più vicini che mai a studiare i quasar e le loro interazioni con le galassie avvenute un miliardo di anni dopo il big bang.  E studiare le evoluzioni del gas primordiale ci permette di comprendere meglio la formazione stellare. 

 

DUE QUASAR CHE SI STANNO FONDENDO
La frenesia alimentare dei buchi neri supermassicci che li alimentano genera radiazioni che possono superare la luce dei miliardi di stelle della galassia ospite. In poche decine di milioni di anni, i buchi neri e le rispettive galassie si fonderanno, formando un buco nero ancora più massiccio. Crediti: Nasa, Esa, Joseph Olmsted (STScI)

Nel primo miliardo di anni dopo il big bang, l’universo si popola rapidamente di buchi neri di enorme massa, fino ad alcuni miliardi di volte quella del Sole. Affinché questa tumultuosa crescita avvenga servono processi astrofisici in grado di convogliare efficientemente enormi quantità di gas nelle regioni centrali delle galassie, dove i buchi neri risiedono. Il gas che precipita sui buchi neri rilascia energia, diventando luminosissimo: nei casi più estremi può superare la luminosità dell’intera galassia ospite, dando origine a un fenomeno chiamato quasar. I modelli concordano che questo sia possibile solo al centro di alcune delle regioni più dense dell’universo giovane, dove le galassie accrescono gas freddo e galassie satelliti. Per anni però a questa teoria mancava una conferma osservativa. Si è dovuto attendere l’avvento dell’Atacama Large Millimeter Array, Alma, per ottenere, nel 2017, le prime conferme spettroscopiche di galassie compagne di quasar osservati nel primo miliardo di anni di vita dell’universo. Il lancio del telescopio spaziale James Webb (Jwst) nel Natale 2021 ha successivamente consentito di passare dalle prime detezioni sparse a studi statistici degli ambienti dei quasar all’alba cosmica, e alla caratterizzazione delle prime galassie.

PERCHÉ PROPRIO QUESTO QUASAR?
IL QUASAR E LE DUE GALASSIE
Mappa a falsi colori: il rosso indica oscuramento da parte del gas ricco di metalli, mentre il verde suggerisce il prevalere di condizioni di forte ionizzazione dovute al gas illuminato dal quasar. Crediti: R. Decarli et al.

Noi ci siamo concentrati in particolare sullo studio di un quasar, chiamato PJ308-21, la cui luce ha viaggiato per tredici miliardi di anni prima di giungere a noi. Nel 2017, osservandolo con Alma, ci siamo accorti che il gas freddo nelle vicinanze del quasar presentava una morfologia irregolare, che abbiamo deciso di investigare ricorrendo a nuove osservazioni Alma, stavolta con una risoluzione spaziale superiore. I dati del potente interferometro rivelano chiaramente che c’è gas freddo in corrispondenza della galassia che ospita il quasar ma anche nei dintorni. L’emissione ulteriore è concentrata in due regioni, che si trovano rispettivamente a ovest e a est del quasar. Utilizzando le immagini del telescopio spaziale Hubble, sensibile alla luce stellare, abbiamo notato che il gas non era sparso casualmente attorno al quasar, ma si trovava in regioni ricche di stelle. Questa è la prova che PJ308-21 non è un oggetto isolato, ma si trova in compagnia di due galassie satelliti. Questo fatto lo rende un ottimo candidato per studiare le tumultuose interazioni che avvengono tra quasar e galassie un miliardo di anni dopo il big bang. Quale migliore oggetto di studio allora per sfruttare le prodigiose capacità di NirSpec (Near Infrared Spectrograph), uno degli strumenti a bordo del telescopio spaziale James Webb?

I DATI DI WEBB

IL QUASAR E IL JWST
L’immagine, composta da quattro immagini a banda stretta realizzate dallo strumento NIRSpec a bordo di Webb ci mostra il quasar SDSS J165202.64+172852.3 a 11,5 miliardi di anni luce.
Crediti: Esa/Webb, Nasa & Csa, D. Wylezalek, A. Vayner e il Q3D Team

I dati sono arrivati a settembre 2022 nell’ambito del Programma 1554, uno dei nove progetti a guida italiana del primo ciclo osservativo di Jwst, un anno prima rispetto a quanto originariamente programmato. A quel tempo la pipeline ufficiale, ovvero il software necessario per processare i dati di Webb e renderli analizzabili scientificamente, si trovava ancora in una fase iniziale di sviluppo. Quella che viene detta in gergo “riduzione dei dati” – ovvero quell’insieme di operazioni necessarie per trasformare il dato grezzo, osservato dal telescopio e contaminato da segnali spuri di diversa origine, in un dato che sia affidabile per la misura di quantità fisiche – ci ha dato non poco filo da torcere. Bisogna sempre tenere a mente che Webb, per quanto sia uno strumento straordinario, è esposto a fenomeni di varia natura, come l’impatto coi raggi cosmici, o difetti nella risposta dei pixel nei rivelatori, che contaminano il segnale emesso dalle sorgenti astrofisiche che vogliamo studiare. È stato necessario scrivere dei codici che ripulissero i dati da queste problematiche, prima che venissero implementati nella pipeline ufficiale sviluppata dallo Space Telescope Science Institute di Baltimora. Per osservare l’interazione del quasar con le galassie satelliti abbiamo impiegato NirSpec nella modalità a campo integrale, particolarmente efficace quando si vogliono studiare degli oggetti estesi, con una morfologia complessa, come nel nostro caso. Ottenuti finalmente i dati calibrati, ci siamo concentrati su due aspetti: lo studio del quasar e lo studio del merger, ovvero l’interazione che vede coinvolte la galassia che ospita il quasar e le due galassie satelliti.

IL BUCO NERO CENTRALE

Un aspetto cruciale che riguarda lo studio dei quasar lontani è senza dubbio la stima della massa dei buchi neri supermassicci che caratterizzano queste sorgenti altamente energetiche. Non è chiaro quali siano stati i “semi” da cui si sono sviluppati i primi buchi neri e i modelli teorici propongono scenari diversi in questo senso. Qualunque sia il meccanismo, certo è che deve essere in grado di spiegare le masse poderose dei buchi neri che si osservano appena un miliardo d’anni dopo il big bang. In questo senso, disporre di stime affidabili della massa dei buchi neri diventa cruciale. La riga dell’, emessa dall’idrogeno ionizzato che orbita forsennatamente attorno al disco di accrescimento che alimenta il buco nero, è il tracciante principe per stimare la massa dei buchi neri supermassicci. Il problema è che, prima del lancio di Webb, questa riga non era osservabile per oggetti distanti come PJ308-21, in quanto a causa dell’espansione dell’universo finiva in una regione dello spettro elettromagnetico particolarmente ardua da osservare per i telescopi sulla terra. Grazie ai dati di NirSpec, abbiamo ottenuto una delle prime stime della massa di un buco nero all’alba cosmica utilizzando l’. La qualità straordinaria dei dati di NirSpec (lo spettro del quasar ha un’incertezza inferiore all’1 per cento per pixel) ci ha consentito di effettuare una stima solida di questa quantità. La massa del buco nero di PJ308-21 si è rivelata notevole, quasi tre miliardi di volte quella del nostro Sole, ed è consistente con quella ottenuta qualche anno fa con lo spettrografo X-shooter, montato sul Very Large Telescope in Cile, adoperando una riga del magnesio. Valori simili sono stati trovati anche per altri quasar di quell’epoca cosmica che dunque nulla hanno da invidiare in quanto a dimensioni a molti dei buchi neri che popolano l’universo oggi. Questo suggerisce che i semi da cui si sono sviluppati i primi buchi neri erano già in partenza molto massicci o che abbiano sperimentato un accrescimento di materiale estremamente rapido, più di quanto si pensasse in passato.

NELL’UNIVERSO PRIMORDIALE
Un’illustrazione di ULAS J1120+0641, un quasar molto distante alimentato da un buco nero con una massa due miliardi di volte quella del Sole. Crediti: Eso/M. Kornmesser
LE GALASSIE DEL SISTEMA

I dati di spettroscopia di campo ottenuti con NirSpec consentono simultaneamente lo studio di tutte le componenti del sistema di PJ308-21. Gli elementi chimici presenti nel gas rilasciano energia sotto forma di righe di emissione, la cui caratterizzazione consente di capire quali sono le proprietà del gas: temperatura, densità, grado di ionizzazione, ricchezza di elementi più pesanti di idrogeno ed elio (chiamati generalmente metalli). I metalli vengono sintetizzati dalla fusione nucleare che alimenta le stelle e vengono poi dispersi nel mezzo interstellare attraverso venti ed esplosioni di supernove. L’abbondanza di metalli ci racconta dunque la storia di formazione stellare delle galassie. La nostra analisi ha mostrato che la galassia che ospita  il quasar PJ308–21 ha un’alta metallicità, e le condizioni di ionizzazione sono dettate dalla luminosissima regione attorno al buco nero in accrescimento. Una delle galassie satelliti, invece, presenta una metallicità pari a circa il 40 per cento di quella che si osserva nella nostra Galassia, vicino al Sole; la ionizzazione in questo caso è indotta dalla formazione stellare, e si esclude la presenza di un secondo buco nero massivo in accrescimento. La seconda galassia satellite, infine, è caratterizzata da una metallicità prossima a quella solare; il gas viene ionizzato, almeno in parte, dal vicino quasar. Questo lavoro dimostra che le galassie satelliti di PJ308-21 sono effettivamente due distinte sorgenti; e che tutte le galassie coinvolte nel sistema sono già molto evolute in termini di massa e di arricchimento metallico, e in costante crescita.

SULL’ALTOPIANO DI CHAJNANTOR
Le 66 antenne dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) nel Cile settentrionale, sotto una spolverata di neve. Crediti: Eso/Naoj/Nrao
PROSPETTIVE FUTURE
WEBB NELLA RAGNATELA COSMICA
Grazie a Jwst gli astronomi hanno scoperto una disposizione filiforme di 10 galassie ad appena 830 milioni di anni dal Big Bang. Crediti: C. Gunn/Nasa, Esa, Csa, F. Wang (Univ. Arizona)

L’impatto del telescopio spaziale James Webb nella nostra comprensione dell’universo nella sua infanzia è evidente: fino a un paio di anni fa, dati sull’arricchimento dei metalli (indispensabile per ricostruire l’evoluzione chimica delle galassie) o sulle condizioni fisiche del gas erano quasi al di là della nostra portata, a queste distanze. Ora, invece, possiamo mappare in dettaglio con poche ore di integrazione anche galassie osservate quando l’universo era agli albori. Con osservazioni di questo tipo, coadiuvate da studi condotti con Alma e altri telescopi da terra, possiamo ora seguire il cosiddetto ciclo dei barioni, ovvero la sequenza con cui il gas primordiale sparso nell’universo viene inglobato nelle prime galassie, si raffredda, si frammenta e si trasforma in stelle; come queste restituiscono parte del materiale che le compone, arricchito questa volta di metalli, attraverso venti e drammatiche esplosioni di supernova; come questo materiale eiettato nel mezzo circumgalattico possa poi tornare a precipitare sulle galassie, contribuendo a un nuovo ciclo di formazione stellare. In tal senso, abbiamo riscontrato per PJ308-21 la presenza di gas ionizzato espulso dalla galassia che ospita il quasar e che stiamo attualmente analizzando. L’espulsione di materiale può avere effetti drammatici sull’attività di formazione stellare di una galassia in quanto, se il gas non viene ricatturato, può ridurre il combustibile necessario per formare nuovi astri. Tali espulsioni di gas non sembrano essere un fatto isolato per i quasar a quell’epoca. Al momento stiamo collaborando con Emanuele Paolo Farina del Gemini Observatory, Principal Investigator di due nuovi programmi realizzati col telescopio Webb che hanno osservato decine di quasar simili a PJ308-21. La cosa interessante è che queste espulsioni di gas ionizzato potrebbero essere inaspettatamente comuni nei quasar distanti. Grazie a questi nuovi dati potremo dunque passare dallo studio di una singola sorgente a un campione statistico, che ci consentirà di comprendere meglio il ciclo dei barioni all’alba cosmica.