Quali sono i processi fisici che regolano la formazione e l’evoluzione delle galassie e dei nuclei galattici attivi? Qual è la struttura dell’universo su larga scala e a diverse epoche cosmiche? Qual è la natura della materia e dell’energia oscura e come si comporta la gravità su scale cosmologiche? Queste sono solo alcune delle domande alle quali i ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica stanno cercando di rispondere.
Comprendere i processi fisici, con quali tempistiche avvengono e la loro importanza relativa, a diverse epoche cosmiche e in diversi ambienti, rappresenta una delle principali sfide dell’astrofisica moderna. Per sperare di riuscire a rispondere a queste e altre domande occorrono studi osservativi, teorici e computazionali focalizzati sulle diverse componenti dell’universo, sull’astrofisica dei buchi neri, delle galassie e dei loro sistemi, dai gruppi agli ammassi. Studi che inevitabilmente hanno importanti ricadute anche nell’ambito della formazione stellare, dell’astrofisica delle alte energie e della fisica fondamentale (teorie della gravità e altre interazioni fondamentali).
Il modello cosmologico standard
In cosmologia, il paradigma attualmente più accreditato è conosciuto come modello cosmologico standard. In questo modello, il budget di massa ed energia dell’universo è dominato per il 68% dall’energia oscura, che causa l’accelerazione odierna dell’espansione cosmica, con una significativa componente – circa il 27% – di materia non barionica (anch’essa detta oscura poiché non interagisce con la luce) e solo una piccola componente di materia ordinaria o barionica – circa il 5%. A oggi navighiamo quindi nell’oscurità, essendo la natura della materia e dell’energia oscure ancora un mistero.
Nel primo miliardo di anni rispetto a quella che viene considerata l’origine dell’universo – il Big Bang, circa 13,8 miliardi di anni fa – ombra e luce si sono susseguite fino a quella che prende il nome di epoca della reionizzazione: il periodo in cui il gas primordiale, di cui era pervaso l’universo nelle prime fasi della sua evoluzione, passa dallo stato neutro a quello ionizzato. La storia di quest’epoca non è ancora chiara, così come non è ancora ben definito il periodo esatto in cui si svolse. Ciò che possiamo affermare con ragionevole certezza è che dalle piccole differenze nella densità della materia che dovevano essere presenti circa 380mila anni dopo il Big Bang – impresse nella radiazione cosmica di fondo a microonde, la prima luce emessa nella storia dell’universo, come differenze di temperatura dell’ordine di un centomillesimo di grado – si sono formate le prime strutture a larga scala nella storia dell’universo, già visibili all’epoca della reionizzazione. Col tempo, la gravità ha portato queste strutture ad aggregarsi, fino a formare le galassie e gli ammassi di galassie che osserviamo oggi.
Recentemente, un team internazionale di ricercatrici e ricercatori guidato dall’Istituto nazionale di astrofisica ha catturato la luce di due galassie tra le primissime dell’universo primordiale, tra 350 e 450 milioni di anni dopo il Big Bang. Un altro lavoro ha studiato ben ventinove galassie ai primordi dell’universo, stimando per la prima volta la frazione di luce da esse rilasciata in grado di ionizzare il gas circostante. Questi lavori sono stati resi possibili grazie al telescopio spaziale James Webb (Jwst) e all’aiuto di un massiccio ammasso di galassie (Abell 2744, chiamato anche Ammasso di Pandora) che, come una lente, ha amplificato la luce proveniente dalle galassie ancora più distanti. Sempre Jwst è riuscito a osservare, grazie a una lente gravitazionale di un ammasso, una galassia lontanissima, in piena formazione stellare appena 510 milioni di anni dopo il Big Bang: la prima galassia mai osservata che potrebbe aver contribuito in maniera sostanziale alla reionizzazione dell’universo.
La formazione delle prime stelle e delle galassie primordiali coincide con l’avvio del processo di reionizzazione e della sintesi dei “metalli” (tenuto conto che per gli astronomi sono considerati metalli tutti gli elementi più pesanti dell’elio), successivamente espulsi nel mezzo interstellare e intergalattico. Parallelamente all’evoluzione stellare, al centro delle galassie si formano buchi neri molto massicci, mostri cosmici dalla massa pari a milioni o addirittura miliardi di volte quella del Sole. Sia le ultime fasi dell’evoluzione stellare sia l’accrescimento del gas circostante sui buchi neri rilasciano enormi quantità di energia nel mezzo interstellare (sotto forma di radiazione, venti, fronti d’urto e getti), con importanti ripercussioni sulle proprietà fisiche e strutturali delle galassie stesse. Anche le interazioni fra galassie possono ovviamente modificare le proprietà fisiche e dinamiche delle galassie stesse, basti pensare ai meravigliosi esempi riportati nel famoso atlante delle galassie peculiari compilato da Halton Arp. Il ciclo barionico delle galassie – il processo che prevede la fuoriuscita di materiale che prima o poi sarà riassorbito dalle galassie ospitanti, oltre che il trasferimento di materia tra le galassie – è basato su una complessa rete di azioni, reazioni e auto-regolazioni, e per comprendere tutti questi aspetti gli astrofisici usano osservazioni su tutto lo spettro elettromagnetico, modelli e simulazioni.
Le survey sulle galassie
Negli ultimi anni, la comunità Inaf ha partecipato attivamente a importanti survey spettroscopiche per stimare la distribuzione spaziale delle galassie e degli ammassi di galassie, e per studiare le proprietà del gas diffuso che pervade gli spazi intergalattici. A titolo di esempio, recentemente sono stati pubblicati i risultati scientifici basati sulle analisi dei dati prodotti dall’ultima release di Lega-C (Large Early Galaxy Census), un vero e proprio censimento di galassie lontanissime, realizzato con lo strumento Vimos installato sul Very Large Telescope dell’Eso in Cile tra dicembre 2014 e marzo 2018. Grazie a Lega-C sono disponibili per la prima volta osservazioni astronomiche di alcune migliaia di galassie in un’epoca cosmica compresa tra cinque e otto miliardi di anni fa con una precisione in grado di permettere agli astrofisici di ricavare le caratteristiche dettagliate delle popolazioni stellari presenti nelle galassie del campione. Questi risultati consentono di studiare il passato delle galassie, anche remoto, con maggiore dettaglio di quanto non si possa fare con galassie del nostro vicinato cosmico. Le misure accurate raccolte per questo campione di galassie hanno consentito, per la prima volta, di confrontare direttamente le predizioni dei modelli teorici con le osservazioni in quel particolare intervallo della storia dell’universo.
La madre di tutte le simulazioni con cui confrontare questo genere di osservazioni è Illustris-The Next Generation: basata sulle leggi fondamentali della fisica, dalla gravità che fa addensare la materia alle equazioni della fluidodinamica e di Maxwell per l’elettromagnetismo, mostra come il cosmo si è evoluto dal Big Bang a oggi. C’è dentro tutto: la materia oscura, il gas intragalattico e intergalattico, le stelle, con tanto di esplosioni di supernova, e persino i campi magnetici a grande scala. Un universo artificiale ma realistico, navigabile quasi come Google Maps e completo di tutto ciò che occorre a cosmologi, fisici e astrofisici per sviluppare e mettere alla prova, direttamente al computer, i loro modelli e le loro teorie sulla formazione delle galassie, delle singole stelle e del mezzo intergalattico. In questo modo è possibile migliorare i modelli stessi e la comprensione della fisica che regola l’evoluzione delle galassie.
Andando ancora più indietro nel tempo e spingendosi fino all’alba dell’universo, il satellite Planck dell’Esa – al quale l’Inaf ha contribuito guidando lo sviluppo dello strumento a bassa frequenza, la calibrazione e l’analisi dei dati – ha ottenuto la mappa più precisa a oggi della radiazione cosmica di fondo su tutto il cielo. Questo ha permesso di stimare i parametri cosmologici tramite la caratterizzazione statistica delle perturbazioni primordiali, e di misurare l’effetto Sunyaev-Zeldovich termico impresso dagli ammassi di galassie sulla radiazione di fondo.
Perché le osserviamo
Gli studi degli ammassi di galassie – effettuati grazie a campagne osservative in molteplici lunghezze d’onda per valutare pressione, temperatura, densità e metallicità del gas caldo intergalattico, così come dei campi magnetici e delle particelle relativistiche che vi si trovano – sono fondamentali per comprendere l’evoluzione delle strutture cosmiche e vincolare le proprietà della materia oscura. Nel caso di galassie relativamente “vicine”, invece, numerosi sono stati i progressi resi possibili dall’utilizzo della spettroscopia a campo integrale, una tecnica che consente di costruire mappe ad alta risoluzione spaziale di diverse regioni delle galassie. La combinazione di osservazioni dedicate a diverse lunghezze d’onda è essenziale per tracciare le diverse componenti coinvolte nel ciclo barionico.
Il lavoro dei ricercatori dell’Inaf coinvolti in questo campo di ricerca ha portato a importanti risultati negli studi sulla variazione spaziale delle proprietà delle popolazioni stellari, sulla formazione ed evoluzione di nubi molecolari e sulle condizioni fisiche del mezzo interstellare, nonché sull’impatto dell’interazione con l’ambiente circostante e dei deflussi di gas generati da stelle oppure dai nuclei galattici attivi, i cuori delle galassie che ospitano buchi neri supermassicci con tassi molto elevati di accrescimento del gas circostante, che dà luogo a emissione intensa su tutto lo spettro elettromagnetico.
Anche nel contesto dell’evoluzione delle galassie, fondamentale è il continuo confronto con complessi modelli teorici che descrivono la formazione e l’evoluzione delle strutture cosmiche. In questo ambito, la comunità dell’Inaf ricopre un ruolo di rilievo, in particolare nello sviluppo di simulazioni numeriche, di modellistica semi-analitica di formazione ed evoluzione delle galassie, di modelli di evoluzione spettrofotometrica e di trasporto radiativo. L’Inaf è un partner fondamentale nella missione Euclid dell’Esa, il cui lancio è previsto per luglio 2023. Euclid osserverà oltre un miliardo di galassie su più di un terzo dell’intero cielo nelle lunghezze d’onda del visibile e del vicino infrarosso, con una combinazione senza precedenti di nitidezza, sensibilità e area osservata. Tali osservazioni saranno combinate con una misura precisa del redshift per diverse decine di milioni di galassie – una stima dell’epoca cosmica a cui appartengono. Questa mappa tridimensionale della struttura a larga scala dell’universo permetterà di addentrarsi nei misteri della materia oscura che costituisce l’impalcatura invisibile del cosmo e dell’energia oscura che ne accelera l’espansione da diversi miliardi di anni, oltre a svelare le proprietà dei nuclei galattici attivi, delle galassie e degli ammassi di galassie, a livelli di dettaglio mai raggiunti prima.
I progetti in corso
Tanti sono i progetti in corso, o che verranno completati nel prossimo futuro nei quali l’Inaf è coinvolto, che saranno determinanti per lo studio della struttura dell’universo, come ad esempio la Legacy Survey of Space and Time (Lsst) condotta al Vera C. Rubin Observatory, attualmente in costruzione in Cile. Le osservazioni effettuate con telescopi ottici come il Very Large Telescope (in particolare con lo strumento Muse) e il Large Binocular Telescope, e con interferometri radio come Alma, il Karl G. Jansky Very Large Array (Jvla) e Noema dell’Iram, e le osservazioni ad altissima risoluzione radio con le antenne italiane (Vlbi Italiano e Internazionale con le reti Evn ed Eavn) sono determinanti per studiare e comprendere l’evoluzione delle galassie.
Nei prossimi anni entreranno in funzione, su alcuni dei maggiori telescopi al mondo, nuovi spettrografi multi-oggetto e a campo integrale come Weave, Moons e 4Most, dedicati allo studio delle galassie in varie epoche cosmiche. I nostri ricercatori sono alla guida di grandi survey spettroscopiche e fotometriche, che si avvalgono di telescopi da terra e dallo spazio, per caratterizzare le proprietà integrate delle galassie e dei buchi neri supermassicci in funzione dell’ambiente, dall’epoca della reionizzazione fino a oggi. Campagne spettroscopiche e fotometriche ad alta risoluzione consentiranno studi tomografici del mezzo intergalattico e dell’effetto di lensing gravitazionale (sia forte sia debole). In sinergia con le osservazioni in banda X ottenute con i satelliti a raggi X Chandra, Xmm-Newton, Swift ed eRosita (e in futuro con l’osservatorio Athena) e in banda sub-millimetrica con Planck e Spt, queste campagne forniranno nuovi vincoli sul budget di materia oscura e barionica dell’universo, sulla struttura a larga scala, sugli ammassi di galassie e sui nuclei galattici attivi. Nuove survey di ammassi e nuclei galattici attivi, coadiuvate da follow-up in banda radio con le antenne di Jvla, Gmrt, Lofar, MeerKAT e Askap (radiotelescopi precursori e apripista del progetto Ska), offriranno una possibilità inedita di sondare regioni dello spazio dei parametri finora inesplorate.
Accanto alla parte osservativa, sul fronte dell’astrofisica teorica gli obiettivi principali di questa linea di ricerca includono simulazioni a grande scala di modelli alternativi a quello cosmologico standard; modelli della formazione delle galassie, dei buchi neri centrali e della loro interazione con l’ambiente da piccole a grandi scale, dall’epoca di formazione delle prime galassie, in grado di fornire predizioni teoriche per osservatori di prossima generazione (Skao, Athena, Lisa); sviluppo di codici di simulazione innovativi che includono esplicitamente la trattazione di processi fisici e microfisici del gas e del plasma e che sfruttano a pieno la potenza di calcolo ad alte prestazioni. Tali simulazioni saranno cruciali in tutti gli ambiti della cosmologia e dell’astrofisica della formazione delle galassie per fornire predizioni teoriche e interpretare le osservazioni accessibili agli strumenti del futuro.