Strumenti astronomici al MuSA di Napoli

Strumenti astronomici al MuSA di Napoli

La più antica istituzione scientifica partenopea ospita dal 2012 il Museo degli Strumenti Astronomici. Visitarlo vuol dire mettersi nei panni di alcuni degli uomini di scienza più visionari della storia.

Le sale del Museo degli Strumenti Astronomici all’Inaf Osservatorio astronomico di Capodimonte, un bene culturale di valore storico-documentario che testimonia lo sviluppo della ricerca astronomica che l’osservatorio di Napoli ha attraversato e che ha contribuito a scrivere. Crediti: Inaf Capodimonte

«Magnifico sia l’edificio», esclamò il Monarca. «Magnifico sia», ripeterono i Consiglieri e i Ministri. Era l’8 marzo 1812 quando Gioacchino Murat determinò la fondazione di un nuovo edificio per l’Osservatorio di Napoli, la cui istituzione risale al 1791. L’architetto Stefano Gasse concepì uno splendido monumento in stile neoclassico che Franz Xaver von Zach definì “il Vesuvio dell’Astronomia”. L’osservazione del 17 dicembre 1819 diede avvio alle attività di ricerca dalla sommità di Miradois a Capodimonte, la collina che domina la città e il golfo di Napoli. L’Osservatorio di Napoli è la più antica istituzione scientifica partenopea e la tutela, lo studio e la valorizzazione delle sue collezioni offrono una visuale unica per conoscere il contributo degli scienziati napoletani allo sviluppo dell’astronomia, “la più sublime scienza inventata dagli uomini”.

Nel 2012 nasce il MuSA – Museo degli Strumenti Astronomici, l’unico museo dell’astronomia presente nel sud Italia continentale. Il rinnovato allestimento museale, fatto di strumenti e documenti, edifici e panorami, consente un viaggio affascinante negli oltre due secoli di vita dell’astronomia a Napoli. 

Il MuSA, progettato per garantire una completa accessibilità ai vari ambienti, presenta oltre 200 oggetti tra strumenti scientifici, dipinti, stampe e una selezione di preziosi volumi antichi, nonché alcuni elementi moderni, come il tunnel che trasporta il visitatore in un percorso visionario e colorato nel Sistema solare, rivivendo il primo sbarco dell’uomo sulla Luna.

Le sale del Museo degli Strumenti Astronomici all’Inaf Osservatorio astronomico di Capodimonte, un bene culturale di valore storico-documentario che testimonia lo sviluppo della ricerca astronomica che l’osservatorio di Napoli ha attraversato e che ha contribuito a scrivere. Crediti: Inaf Capodimonte

Tra i pezzi di maggior pregio, il MuSA espone due straordinari oggetti d’arte provenienti dalla Collezione Farnese, come il globo celeste (1589) e l’orologio astronomico (1567). Hanno un’importanza tecnologica e scientifica lo specchio di Herschel (1798), tra i maggiori telescopi riflettori realizzati dall’astronomo che nel 1781 scoprì il pianeta Urano, il telescopio di Fraunhofer (1814) che, con un obiettivo di 17,5 cm di diametro, è stato il più grande telescopio mai realizzato a inizio Ottocento, e il telescopio di Reichenbach (1814) che consentì ad Annibale de Gasparis di scoprire nove asteroidi, divenendo il più prolifico scopritore di pianeti in Italia del XIX secolo. Di grande fascino è il padiglione del cerchio meridiano, strumento acquistato nel 1869 anche grazie al contributo finanziario del Comune di Napoli.

Il percorso del MuSA si arricchisce di dipinti, stampe e di una selezione di volumi rari della biblioteca antica, come il De spaere mundi (1488) di Sacrobosco, la prima edizione del De Revolutionibus orbium coelestium (1543) di Copernico e le splendenti tavole di Atlas coelestis (1742) di Doppelmayr. Completano il viaggio nella storia dell’Osservatorio di Capodimonte le architetture dei suoi edifici come la sala delle colonne dove spicca il bassorilievo di Claudio Monti Re Ferdinando incoronato da Urania (1819) e la sala della direzione dove campeggia la Mappa del duca di Noja (1775), una carta geografica e topografica di Napoli di circa dodici metri quadrati. Le amenità del suo parco e la bellezza delle vedute fanno da cornice alla “più bella e preziosa collezione che mai non ho veduto in altro osservatorio”, come scrisse l’astronomo Giuseppe Piazzi.