Comprendere l’universo, stella dopo stella

Comprendere l’universo, stella dopo stella

Proprio come noi, anche le stelle nascono, evolvono e muoiono, in un ciclo vitale lungo milioni o miliardi di anni. Essendo la nostra vita molto più breve, non riusciamo a goderci interamente lo spettacolo e l’unica cosa che possiamo fare è osservare popolazioni di stelle in diverse fasi della loro vita, per poi costruire un modello che ci permette di riprodurre le proprietà osservate e presumere di aver così compreso l’evoluzione stellare.

Uno degli strumenti più importanti nell’astronomia stellare è il diagramma di Hertzsprung-Russell (o diagramma H-R), che non può mancare nel bagaglio di chi si vuole avvicinare alla comprensione della vita di una stella. Si tratta di un grafico che mette in relazione la temperatura effettiva di una stella e la sua luminosità (o anche l’indice di colore e la magnitudine, nella sua versione osservativa conosciuta come diagramma colore-magnitudine). Entrambe queste proprietà sono dipendenti strettamente dalle caratteristiche intrinseche della stella: massa, età e composizione chimica. Il diagramma fornisce informazioni fondamentali su molti tipi di stelle, in quanto da esso è possibile ricavare quantità da cui dipende la posizione della stella nel diagramma stesso: la dimensione, la metallicità e lo stato evolutivo. Si potrebbe dire che il diagramma H-R sia una specie di “ritratto di famiglia” che viene utilizzato per comprendere l’evoluzione stellare e le caratteristiche fisiche delle singole stelle e degli agglomerati stellari: ammassi aperti, ammassi globulari e galassie. 

La comunità dell’Inaf ricopre un ruolo di rilievo a livello internazionale nel campo dell’astrofisica stellare, dal punto di vista teorico, osservativo e sperimentale: dallo studio della formazione ed evoluzione stellare a quello dei sistemi planetari extrasolari che tanto fanno presa sull’immaginario collettivo, fino all’analisi delle popolazioni stellari della Via Lattea e delle altre galassie. 

VIA LATTEA
Una visione a tutto cielo di stelle e galassie vicine, basata sul primo anno di osservazioni del satellite Gaia, da luglio 2014 a settembre 2015. Crediti: ESA/Gaia/DPAC

Scale spaziali

La formazione stellare coinvolge scale spaziali che vanno dalle dimensioni dei complessi di nubi molecolari (superiori a 100 anni luce) all’ambiente intorno alla singola stella e al suo sistema planetario (fino a poche decine di anni luce). Per indagare queste scale occorrono strumenti diversi, caratterizzati da risoluzioni angolari differenti e da diverse bande osservative, dalle onde radio ai raggi X.

Su grande scala si ricercano le leggi generali che guidano la formazione stellare e l’impatto sull’evoluzione della Via Lattea, investigando al suo interno come sono distribuite le cosiddette nursery stellari. Per farlo si usano grandi set di dati relativi al piano Galattico, la regione della Via Lattea che ospita la maggior parte delle sue stelle, molti dei quali già disponibili e altri lo saranno a breve: i telescopi spaziali per raggi X Chandra e Xmm-Newton, rispettivamente di Nasa ed Esa, operativi da oltre vent’anni; i satelliti Gaia e Herschel dell’Esa; il Vera Rubin Observatory, attualmente in costruzione in Cile; i radiotelescopi internazionali del Green Bank Telescope e dell’Iram e l’italiano Sardinia Radio Telescope; e infine il telescopio spaziale James Webb (Jwst), le cui prime spettacolari immagini sono state rilasciate il 12 luglio dello scorso anno.

Su scale più piccole, a livello del singolo oggetto, vengono studiate le diverse condizioni ambientali che influenzano il collasso di una nube protostellare, dalla frammentazione dei filamenti all’insorgere del processo di accrescimento che porterà alla formazione della stella. Per riuscire a distinguere i minuscoli dettagli in gioco si sfruttano le eccellenti risoluzioni angolari raggiunte con l’interferometria di Alma e Noema (e in prospettiva con Skao). Dall’analisi dei dati di questi esperimenti è possibile dedurre le proprietà fisiche e chimiche delle nubi che ospitano la formazione stellare, mentre con le simulazioni numeriche si cerca di riprodurre le varie fasi del collasso. Di particolare importanza in questo contesto sono gli studi di astrochimica, realizzati con osservazioni dedicate, modelli teorici e test di laboratorio. 

Il movimento proprio delle stelle conferisce alla Grande Nube di Magellano l’aspetto di un’impronta digitale. Crediti: ESA/Gaia/D

Per le fasi evolutive successive al collasso della nube, si analizzata in dettaglio la regione circumstellare e in particolare il disco protoplanetario, una struttura discoidale di gas e polveri in orbita attorno alla protostella, per cercare di capire come avviene l’accrescimento di materia sulla protostella stessa, la generazione di venti e getti, il trasferimento di momento angolare nel processo di formazione, l’evoluzione chimica del mezzo, l’effetto dei campi magnetici, la definizione delle condizioni iniziali della formazione planetaria e le prime fasi di aggregazione in planetesimi.

Particolarmente rilevanti per questi studi sono i sistemi planetari giovani, che sono il prodotto immediato del processo di formazione. Un esempio è Toi-942, il sistema planetario più giovane scoperto dal satellite Tess della Nasa, scovato da un team a guida dall’Inaf e caratterizzato grazie anche a dati raccolti con il Telescopio nazionale Galileo (Tng), osservatorio Inaf a La Palma, Isole Canarie. È costituito da due esopianeti caldi, grandi all’incirca come Nettuno. Con i dati spettroscopici ottenuti dallo strumento Harps-N al Tng, è stato possibile studiare a fondo la stella che ospita questi due pianeti e misurare in particolare l’età del sistema, compresa tra i 30 e gli 80 milioni di anni. Con la sua giovane età e la presenza di più di un pianeta, questo sistema è un ottimo banco di prova per studiare come nascono e si evolvono i pianeti nell’universo.

Studiare l’evoluzione planetaria

Le tecniche osservative dipendono dalle regioni che si vogliono studiare e prevedono l’utilizzo della fotometria (sia dallo spazio, con Cheops e Tess, che da Terra), della spettroscopia ad alta risoluzione (con strumenti come Harps-N al Tng, Espresso al Very Large Telescope, o Vlt e, in futuro, Andes a Elt, l’Extremely large telescope dell’Eso), dell’astrometria (con Gaia) e dell’imaging (con gli strumenti Shark sul Large binocular telescope e Sphere al Vlt). Queste osservazioni permettono sia di scoprire nuovi esopianeti, dai giganti gassosi ai pianeti rocciosi, sia di analizzare, per quelli già noti, le proprietà fisiche e chimiche, la loro struttura interna, le proprietà dell’atmosfera, le condizioni climatiche e gli effetti ambientali, tra cui l’interazione con la stella. In questo modo si possono identificare i meccanismi di formazione ed evoluzione planetaria, nonché eventuali condizioni di abitabilità e traccianti biologici. Anche in questo caso, sono richieste osservazioni diversificate e multi-banda (dai raggi X al radio) da eseguire con i grandi telescopi da Terra, con interferometri radio e con missioni spaziali. Nei prossimi anni saranno lanciati due nuovi satelliti Esa in cui la comunità dell’Inaf è molto coinvolta: Plato, per individuare e studiare un gran numero di sistemi planetari extrasolari, in particolare esopianeti di tipo terrestre nella zona abitabile di stelle di tipo solare; e Ariel, che realizzerà un censimento di un migliaio di esopianeti noti e delle loro atmosfere. Per l’interpretazione delle osservazioni vengono sviluppati metodi avanzati di analisi dei dati, inclusi algoritmi di intelligenza artificiale e modelli numerici sofisticati integrati da simulazioni ed esperimenti di laboratorio mirati.

Le oscillazioni delle stelle

Per lo studio della struttura interna delle stelle, un supporto notevole viene dall’asterosismologia, che consiste nello studio dei modi di oscillazione interni delle stelle. Appena sotto la superficie di stelle come il Sole, il gas caldo sale, si raffredda e poi affonda, dove si riscalda di nuovo, proprio come in una pentola di acqua bollente su una stufa calda. Questo movimento produce onde di pressione variabile che interagiscono, portando a oscillazioni stabili con periodi di pochi minuti che producono minuscoli cambiamenti di luminosità. Per il Sole, queste variazioni ammontano a poche parti per milione. Quando stelle simili in massa al Sole evolvono in giganti rosse – la penultima fase della loro vita stellare – i loro strati esterni si espandono di dieci o più volte. Questi vasti involucri gassosi pulsano con periodi più lunghi e ampiezze maggiori, il che significa che le loro oscillazioni possono essere osservate in stelle più deboli e più numerose.

Agli studi sulle proprietà interne delle stelle si affianca quello delle atmosfere stellari, delle magnetosfere e dei fenomeni di attività magnetica, che possono portare a notevoli progressi nello studio dell’interazione tra stella e mezzo circumstellare, ed eventualmente sistemi planetari, nonché dei plasmi magneto-attivi. 

Infine, anche le stelle muoiono. Lo studio delle fasi finali della loro vita, rilevante anche perché arricchiscono di nuovi elementi chimici il mezzo interstellare, rappresenta una parte importante dell’attività di ricerca dell’Inaf. Osservazioni di stelle di grande massa – fino a circa cento masse solari – e del loro ambiente circumstellare, evidenziano la storia della perdita di massa che, a sua volta, influenza l’evoluzione della stella e l’eventuale esplosione di supernova. Per le stelle di piccola massa, la ricerca si concentra sulla determinazione della composizione chimica del gas e della mineralogia della polvere che esse riversano nel mezzo interstellare nella fase detta di nebulosa planetaria, essendo di fatto i principali produttori di polvere nell’universo. 

Perché studiamo le galassie

Un doppio ammasso nella costellazione di Perseo. Crediti: ESA/Gaia/D

Lo studio delle singole stelle è inscindibile da quello dell’ambiente in cui si formano ed evolvono: la Via Lattea, le galassie esterne e le loro sottostrutture. La Galassia e le sue immediate vicine, le nubi di Magellano, Andromeda e, più in generale, le galassie in cui si possono risolvere le stelle individualmente, rappresentano il laboratorio ideale per rispondere alle domande fondamentali sulla storia ed evoluzione dell’universo che ci circonda. Le indagini osservative e teoriche sono moltissime e si focalizzano sulla caratterizzazione delle proprietà chimiche, morfologiche e dinamiche delle componenti galattiche e del mezzo interstellare, e sulla ricostruzione della loro storia di formazione ed evoluzione. Nella nostra galassia, in particolare, è stato possibile per la prima volta individuare, caratterizzare e datare tutti gli eventi che hanno contribuito alla formazione delle sue strutture (sferoide centrale, disco, alone, bracci di spirale). Questi studi sono il paradigma per la verifica locale delle teorie di crescita gerarchica delle galassie in ambito cosmologico e per la comprensione delle proprietà osservative dell’universo lontano non risolvibile in stelle.

Il ruolo di Gaia

Un grande balzo nella comprensione della struttura della Via Lattea è arrivato in anni recenti grazie al satellite Gaia, che sta realizzando la mappa tridimensionale di quasi due miliardi di stelle nella Galassia, misurandone con precisione mai raggiunta prima posizioni, distanze e moti. La comunità dell’Inaf contribuisce a questa missione in maniera significativa, partecipando direttamente al Data Processing and Analysis Consortium che realizza il catalogo stellare oltre a studiarne i dati in dettaglio. La versione più recente del catalogo di Gaia ha permesso a un team a guida dell’Inaf di ridefinire la forma dei bracci a spirale che formano la Via Lattea.

In questo campo giocano un ruolo fondamentale lo studio dell’origine e dell’evoluzione dei sistemi stellari (ammassi aperti, ammassi globulari, galassie nane, galassie nane ultra-deboli) attraverso l’analisi delle proprietà chimiche e dinamiche delle popolazioni stellari che li compongono. Particolarmente significativa è la conoscenza dei processi fisici alla base delle variazioni delle abbondanze chimiche, delle proprietà cinematiche e delle età delle sotto-popolazioni in ammassi stellari e il loro utilizzo come traccianti della formazione ed evoluzione delle componenti galattiche. 

L’interpretazione dei dati prodotti necessita di un adeguato avanzamento dei modelli teorici sulla struttura e l’evoluzione stellare e chimica, nonché la dinamica a differenti scale fino a quella galattica, dove i risultati si confrontano con simulazioni cosmologiche e con la gravità della relatività generale, permettendo di testare anche le teorie a essa alternative, il ruolo della materia oscura e dell’energia oscura, e altri aspetti della fisica fondamentale.

Il satellite europeo Gaia ha lo scopo di ottenere una mappa tridimensionale della nostra galassia, rivelandone la composizione, la formazione e l’evoluzione. Crediti: ESA

In tale contesto, un ingrediente importante sono le distanze stellari per tracciare mappe tridimensionali dei sistemi osservati e la calibrazione delle distanze extragalattiche. La scala delle distanze astronomiche è basata su indicatori di distanza primari di tipo stellare (Cefeidi Classiche, RR Lyrae, Mira) che a loro volta vengono utilizzati per calibrare indicatori secondari, come per esempio le supernove in galassie distanti, che permettono di stimare distanze di interesse cosmologico. Anche in questo ambito l’Istituto nazionale di astrofisica ha ottenuto risultati significativi, in particolare grazie ai dati di Gaia. Fondamentale è la standardizzazione di questi indicatori primari e la comprensione delle loro proprietà, sia attraverso osservazioni fotometriche e spettroscopiche sia attraverso modelli teorici in grado di riprodurre le proprietà delle stelle variabili osservate al variare della composizione chimica. 

Studi, questi, che inevitabilmente hanno un impatto sulla comprensione della tensione esistente tra le stime della costante di Hubble basate sulla scala delle distanze e quelle relative all’universo primordiale, e sulla eventuale necessità di affinare il modello cosmologico di riferimento per la formazione e l’evoluzione dell’universo.