L’universo a noi vicino: il Sole e il Sistema solare

L’universo a noi vicino: il Sole e il Sistema solare

Se affacciarsi sull’universo a grande scala ha un fascino quasi magnetico, che ci attira come il vuoto dal ciglio di una montagna, anche il nostro vicinato cosmico non scherza. Proprio perché è vicino, sentiamo di avere il tempo e le capacità per poterlo conoscere nel dettaglio, per afferrare quei particolari che inevitabilmente, quando si va lontano nello spazio e nel tempo, ci scivolano tra le dita.

La meteorologia dello spazio

Il sole nero
La miscela di luce a 171 e 193 angstrom, catturata dal Solar Dynamics Observatory, conferisce al Sole un aspetto particolarmente cupo. Crediti: NASA/ GSFC/ SDO

Il Sole, il Sistema solare e le tematiche legate alla possibilità che esistano forme di vita nel nostro sistema planetario sono stati punti di partenza per l’astrofisica e sono un fondamentale riferimento per lo studio dell’universo in generale.

Il Sole è un laboratorio naturale in cui è possibile studiare in dettaglio fenomeni fisici che, per la loro scala, non sono accessibili alla sperimentazione terrestre e non possono essere indagati su stelle più lontane. Lo studio del Sole contribuisce in modo significativo al miglioramento delle nostre conoscenze dell’universo e delle leggi fisiche che lo regolano. L’evoluzione e variabilità solare sono fondamentali per capire l’emergere e la sostenibilità della vita sul nostro pianeta e più in generale su altri oggetti del Sistema solare, un problema quest’ultimo di grande valenza per l’abitabilità planetaria. Lo sviluppo tecnologico ci rende sempre più vulnerabili ai disturbi che, provenendo dal Sole, si propagano nello spazio interplanetario fino a colpire il nostro pianeta (ad esempio il vento solare, le eruzioni solari e i fasci di particelle energetiche rilasciati dalla nostra stella). Queste problematiche sono oggetto di studio della meteorologia dello spazio (space weather), disciplina che studia l’attività solare e cerca di prevederne gli effetti sulla Terra, dalle aurore polari che incantano con i loro mutevoli colori sino alle temibili tempeste geomagnetiche. La variabilità solare è inoltre responsabile di complesse interazioni tra il Sole e il mezzo interstellare che portano alla formazione di quelli che sono i confini ultimi del Sistema solare: l’eliosfera.

Tutti questi ambiti vedono un coinvolgimento significativo della comunità scientifica dell’Inaf e l’investimento di risorse volte alla realizzazione di programmi e progetti per la comprensione dei processi fisici che regolano questa parte di universo: il nostro cortile cosmico.

Gli strumenti per studiare il Sole

La prima immagine raccolta dal coronografo
Metis a bordo di Solar Orbiter è anche la prima
immagine UV della corona solare estesa mai
ottenuta. Crediti: Solar Orbiter/Metis Team/ESA & NASA

Lo studio del Sole avviene sia tramite telescopi da terra sia dallo spazio. Mentre le osservazioni da terra permettono di catturare immagini della superficie solare e della sua bassa atmosfera con elevata risoluzione spaziale e temporale, le osservazioni dallo spazio (nell’ultravioletto estremo e nei raggi X, oltre che in banda ottica) permettono di osservare le regioni più esterne dell’atmosfera solare e in particolare la sua corona, che raggiunge temperature di milioni di gradi. Oltre all’utilizzo dei telescopi che osservano il Sole da remoto, è fondamentale disporre anche di osservazioni acquisite in situ da diverse sonde, che permettono così di esplorare il flusso di particelle solari nello spazio interplanetario.

La comunità scientifica dell’Inaf è impegnata in tutte queste tematiche, principalmente tramite il proprio coinvolgimento nella missione spaziale Solar Orbiter di Esa e Nasa, e attraverso la propria partecipazione alla progettazione e costruzione del nascente telescopio solare europeo Est alle isole Canarie. A bordo della sonda Solar Orbiter, lanciata a febbraio 2020, il coronografo Metis targato Inaf ha catturato le prime immagini della corona solare mai acquisite contemporaneamente in due diverse bande (nella luce visibile polarizzata e nell’ultravioletto Lyman-alpha). Metis permetterà di individuare le regioni della corona in cui ha origine il vento solare lento e quello veloce, di studiare l’effetto della configurazione del campo magnetico coronale sulle caratteristiche dinamiche delle sorgenti del vento solare, di monitorare l’espansione iniziale dei fenomeni transienti coronali e di individuare il loro ruolo nei processi di accelerazione delle particelle ad alta energia. A bordo di Solar Orbiter si trova anche lo strumento Solar Wind Analyser (Swa), guidato fra gli altri anche dall’Inaf, che fornisce misure in situ di protoni, elettroni, particelle alfa e ioni minori, a risoluzioni temporali mai raggiunte prima nell’eliosfera interna, fondamentali per individuare i meccanismi fisici alla base del riscaldamento e accelerazione del vento solare. 

Inaf è anche coinvolto nel nuovo telescopio Est che sarà costruito tra il 2026 ed il 2028 alle Canarie ed effettuerà osservazioni spettro-polarimetriche di elevata precisione nell’infrarosso e nell’ultravioletto, che consentiranno di rivelare i meccanismi di trasporto di energia e confinamento in complesse configurazioni magnetiche, con ricadute in altri ambienti astrofisici e nel campo della fusione a confinamento magnetico. Queste osservazioni miglioreranno significativamente la nostra comprensione del campo magnetico solare e delle sue relazioni con l’eliosfera e la Terra. 

Il caso di Mercurio

Il pianeta Mercurio negli scatti raccolti allo strumento Mercury Atmosphere and Surface Composition Spectrometer (MASCS) a bordo della sonda Messenger. Crediti: NASA/ Johns Hopkins University/ Carnegie

Allontanandosi dal Sole, Mercurio è il pianeta più interno del nostro sistema planetario ed è un caso particolarmente rilevante di interazione Sole-pianeta. L’orbita di Mercurio, molto vicina al Sole, è interessata dalla curvatura dello spaziotempo causata dalla stella e quindi sono importanti le misure di fisica fondamentale, in particolare per affinare alcuni parametri della relatività generale. Per esplorare Mercurio e il suo ambiente circostante, Esa e Jaxa hanno lanciato nel 2018 la missione BepiColombo, particolarmente innovativa da un punto di vista tecnologico per via della sua complessità e dell’ostilità dell’ambiente in cui si trova a operare. In tutto, gli strumenti italiani a bordo della sonda spaziale sono quattro: Serena (Search for Exosphere Refilling and Emitted Neutral Abundances), Simbio-Sys (Spectrometers and Imagers for Mpo BepiColombo Integrated Observatory), Isa (Italian Spring Accelerometer) e More (Mercury Orbiter Radio Science Experiment), per studiare la fisica fondamentale e la relatività generale, l’ambiente intorno a Mercurio e l’interazione con il vento solare, e la superficie del pianeta. Durante il primo volo ravvicinato della sonda attorno a Mercurio, avvenuto nell’ottobre 2021, con l’esperimento Serena i ricercatori hanno catturato gli spettrogrammi in energia delle particelle misurate sia fuori che dentro la magnetosfera di Mercurio. Il 23 giugno 2022 BepiColombo ha effettuato il suo secondo assist gravitazionale di Mercurio, arrivando fino a circa 200 chilometri al di sopra della superficie del pianeta e regalandoci bellissime immagini in bianco e nero della sua superficie. L’arrivo a destinazione è previsto per la fine del 2025 e l’inizio delle operazioni scientifiche per il 2026.

Marte, prossima frontiera

Marte è un importante oggetto di studio per la comunità scientifica, essendo l’unico pianeta per il quale al momento si prevede una futura visita dell’uomo, prossima frontiera nello spazio dopo la Luna. Lo studio di Marte raccoglie competenze e conoscenze complementari relative all’atmosfera, alla geologia e al sottosuolo. Inoltre, la presenza di acqua liquida sotto la superficie marziana – scoperta realizzata nel 2018 da un team a guida dell’Inaf grazie ai dati della sonda Mars Express – e l’evidenza che in passato questa molecola, fondamentale per la vita come la conosciamo sulla Terra, fosse presente anche in superficie rende questo pianeta rilevante dal punto di vista astrobiologico. Molti ricercatori sono (e saranno, in futuro) impegnati nello studio di Marte con i dati acquisiti dalle missioni spaziali a esso dedicate: Mars Express (Esa), operativa sin dal 2004, Mars Reconnassance Orbiter (Nasa), operativa dal 2006, e il programma ExoMars (Esa/Roscomos) che comprende il Trace Gas Orbiter (Tgo), in orbita intorno al Pianeta Rosso dal 2016, e il rover Rosalind Franklin, con strumenti dedicati all’astrobiologia e alla caratterizzazione geologica del sito di atterraggio. La partecipazione dell’Inaf a queste missioni include anche la leadership di diversi strumenti, tra cui la camera Cassis, gli spettrometri Pfs, Omega, Nomad e Ma_Miss, il radar Marsis e il sensore di polvere Micromed. In particolare, la seconda missione del programma ExoMars – il cui lancio previsto per lo scorso settembre 2022 è stato rimandato a data da destinarsi, ma comunque non prima del 2028, a causa della sospensione della collaborazione fra Agenzia spaziale europea e Roscosmos – studierà il sottosuolo marziano fino a due metri di profondità, grazie al trapano e allo spettrometro interamente sviluppato in Italia, le proprietà della polvere atmosferica in prossimità della superficie e andrà alla ricerca di possibili firme biologiche. Infine, l’Inaf ha una partecipazione scientifica nelle missioni Nasa Mars 2020, operativa dal 2021 con il rover Perseverance, e Nasa/Esa Mars Sample Return, prevista nel 2031.

Capire le origini grazie a Giove

Osservazioni a più lunghezze d’onda nella luce ultravioletta, visibile e vicino infrarosso del pianeta gassoso Giove, raccolte dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: NASA/ ESA/ A. Simon/ M.H. Wong/ OPAL team

Giove e il suo sistema di satelliti rappresentano un punto chiave per la comprensione dell’origine e dell’evoluzione di tutto il Sistema solare ma anche per lo studio di molti esopianeti, di cui i pianeti giganti sono considerati un analogo. Inoltre, alcuni dei satelliti di Giove e Saturno hanno un elevatissimo interesse astrobiologico, poiché ospitano oceani sotterranei di acqua liquida nei quali non si può escludere la presenza di vita, e sono quindi oggetto di specifiche roadmap di esplorazione della Nasa. Questa motivazione scientifica giustifica lo sforzo tecnologico necessario all’esplorazione di questi corpi. I pianeti esterni del Sistema solare rappresentano infatti la frontiera più estrema dell’esplorazione spaziale: le missioni verso i giganti gassosi pongono una vera sfida tecnologica e scientifica, richiedendo un grande coinvolgimento degli istituti e delle agenzie spaziali, e un impegno – anche finanziario – importante. Si annoverano in questo campo importanti missioni di classe Large in cui l’Inaf è coinvolto. In particolare, Juno è una missione Nasa per lo studio di Giove e le sue lune, in orbita intorno al gigante gassoso dal 2016 e operativa fino al 2025, che ha l’obiettivo di comprenderne l’origine e l’evoluzione del pianeta, determinare la sua struttura interna e del suo eventuale nucleo solido. A bordo c’è Jiram, uno spettrometro nell’infrarosso a leadership Inaf per lo studio delle aurore e dell’atmosfera. I dati di Juno hanno reso possibili importanti scoperte sulla struttura interna, sul campo magnetico e sulla magnetosfera di Giove, svelando che le sue dinamiche atmosferiche sono molto più complesse di quanto gli scienziati pensassero in precedenza. La missione Esa Juice (Jupiter Icy Moon Explorer), alla quale ha fortemente collaborato l’Agenzia spaziale italiana, affiancata dalla comunità scientifica nazionale e dall’industria, è stata lanciata il 14 aprile 2023 e raccoglierà il testimone di Juno. Arriverà a destinazione nel 2031 e, oltre all’osservazione di Giove, ha come obiettivo specifico le tre lune Ganimede, Europa e Callisto per caratterizzare le condizioni che possono aver portato alla nascita di possibili ambienti abitabili sui satelliti gioviani ghiacciati. Anche in questo caso ci sono due strumenti in cui l’Inaf ha un ruolo di leadership: la camera Janus per l’imaging e lo spettrometro Majis.

L’importanza dei corpi minori

I corpi minori – comete, asteroidi, meteore, oggetti trans-nettuniani – sono una delle chiavi principali nella comprensione dell’origine ed evoluzione del Sistema solare perché hanno conservato il materiale meno processato e più primordiale nel nostro sistema planetario. La comunità dell’Inaf è tradizionalmente molto attiva sia nelle osservazioni da Terra dei piccoli corpi sia nell’esplorazione di questi corpi con missioni spaziali dedicate, tra cui la missione Rosetta dell’Esa – che ha realizzato il primo atterraggio morbido su una cometa, la 67P/Churyumov-Gerasimenko, seguendola e studiandola dall’orbita per oltre due anni – e la missione Dawn della Nasa, che ha studiato da vicino il pianeta nano Cerere e il grosso asteroide Vesta. Per non parlare della sonda Dart (Double Asteroid Redirection Test) che lo scorso 26 settembre ha colpito con successo l’asteroide Dimorphos, satellite naturale dell’asteroide Didymos, modificandone la traiettoria e alterandone il periodo orbitale di ben 32 minuti. L’impatto è stato documentato dal cubesat dell’Asi, LiciaCube, di cui l’Inaf coordina il team scientifico. Dart è stata la prima missione di difesa planetaria mai intrapresa dalla Nasa, che ha segnato l’inizio di un’era in cui si potrà evitare che asteroidi di media grandezza cadano sulla Terra. 

Altra missione degna di nota in cui l’Inaf è coinvolto è Comet Interceptor, per la quale Esa e Jaxa stanno collaborando, che prenderà un passaggio a bordo del razzo che lancerà il satellite Ariel. L’obiettivo è visitare una cometa primitiva, un oggetto mai arrivato nel Sistema solare interno e mai studiato finora con una missione spaziale a causa delle tempistiche relativamente rapide di questi corpi. Per questo, la sonda sarà lanciata e “parcheggiata” nello spazio, a un milione e mezzo di km dalla Terra, prima ancora di scegliere la sua destinazione: una cometa attualmente ancora sconosciuta, alla cui ricerca sono già dedicati svariati programmi di osservazione da terra.

L’attività dell’Inaf non si esaurisce nei temi menzionati finora, ma ha importanti estensioni nello studio degli aspetti riguardanti la materia presente nello spazio, con lo scopo di comprendere i meccanismi chimico-fisici che ne regolano la formazione ed evoluzione, mediante l’analisi di materiali analoghi e la simulazione dei processi radiativi e particellari. Le ricerche che si svolgono nei sei laboratori di astrofisica dell’Inaf, sebbene richiedano competenze specifiche delle varie tematiche studiate, hanno come denominatore comune la multidisciplinarietà. Questa attività rappresenta un aspetto fondamentale per lo studio delle tematiche che riguardano la chimica organica e il materiale di interesse astrobiologico nel mezzo interstellare e nei sistemi protoplanetari, inclusi i processi che governano l’evoluzione dei pianeti e dei corpi minori, tracciatori della formazione ed evoluzione del Sistema solare. La ricerca si articola su diversi ambiti che comprendono la simulazione delle condizioni fisico-chimiche sulle superfici di pianeti, asteroidi e comete, gli studi sulla formazione di composti organici complessi, inclusi quelli rilevanti per l’origine della vita, lo studio delle atmosfere, la caratterizzazione di materiali extraterrestri collezionati a Terra (meteoriti e particelle interplanetarie), o riportati a Terra dai programmi spaziali (come nel caso delle missioni “acchiappa-asteroidi” Nasa Osiris-Rex e Jaxa Hayabusa 2), fino alle tematiche più generali connesse con lo studio delle polveri e dei ghiacci presenti nel mezzo interstellare.