Lampi gamma sopra le nuvole

Lampi gamma sopra le nuvole

MARTINO MARISALDI
Fisico, Università di Bergen

Da Bologna a Bergen, in Norvegia, inseguendo i lampi gamma terrestri, fenomeno del quale è uno fra i maggiori esperti al mondo. Ora, grazie al generoso finanziamento che gli ha assegnato lo European Research Council a giugno di quest’anno, li sta studiando dall’alto, volando sopra le nubi temporalesche per osservare per la prima volta le regioni responsabili dell’emissione gamma e vedendo come evolvono in seguito a un fulmine. Si chiama Martino Marisaldi ed è un fisico bolognese che dopo aver lavorato per anni in Italia, all’Istituto nazionale di astrofisica al quale è tuttora associato, ha deciso di accettare una posizione all’Università di Bergen. Lo abbiamo intervistato.

Che cosa sono i lampi gamma terrestri? Quando sono stati scoperti e a che punto siamo nella loro comprensione?

I lampi gamma terrestri, o Terrestrial Gamma-ray Flash (Tgf), sono brevissimi impulsi di raggi gamma emessi dalle nubi temporalesche e associati ai processi di scarica elettrica all’interno delle nubi. La durata tipica va da un centesimo a un decimo di millisecondo e l’energia dei singoli fotoni si estende a oltre 100 volte quella usata nelle normali radiografie mediche. Rappresentano, di fatto, la manifestazione dei processi di accelerazione di particelle di più alta energia che hanno luogo naturalmente sulla terra. Questi acceleratori di particelle naturali si trovano nelle nubi temporalesche, pochi chilometri sopra di noi. Sono stati osservati per la prima volta dallo strumento Batse a bordo del satellite Nasa Compton, dedicato all’astrofisica nei raggi gamma, e pubblicati per la prima volta nel 1994. Batse era uno strumento progettato specificamente per osservare i gamma-ray burst, transienti cosmici che hanno luogo a grande distanza dalla Terra e che non hanno niente a che vedere con i Tgf, ma condividono con loro la breve durata e le elevate intensità ed energia. Per questo i Tgf sono stati inizialmente osservati da satelliti dedicati all’astrofisica nei raggi gamma come, appunto, Compton, e in seguito Rhessi della Nasa e il satellite Agile dell’Agenzia spaziale italiana, con il quale ho avuto l’onore e il piacere di lavorare per tanti anni. A oggi sono stati catalogati migliaia di Tgf osservati dallo spazio, alcuni da terra e circa un centinaio da aereo, grazie a una recente campagna sperimentale coordinata dal nostro gruppo dell’Università di Bergen. A oggi, gli scienziati che lavorano nel campo sono concordi sui meccanismi fisici alla base della produzione dei Tgf, come vengono accelerati e moltiplicati gli elettroni all’interno degli elevati campi elettrici nelle nubi temporalesche. Anche l’associazione con i fulmini è assodata, ma i suoi dettagli e le relazioni di causa ed effetto sono ancora oggetto di studio. Dalle misure più recenti è emerso un quadro eccitante, che mostra come i processi di accelerazione di particelle, di cui i Tgf sono la manifestazione più eclatante, ma non l’unica, sono una componente importante e dinamica della vita delle nubi temporalesche, fortemente interconnessa con i più evidenti processi di convezione e fulminazione. In trent’anni di studio, la nostra percezione di Tgf e fenomeni correlati è cambiata radicalmente: da rare curiosità, come considerati inizialmente, a una componente fondamentale della dinamica delle nubi, come ritenuti oggi. La comprensione olistica del ruolo di questi processi nella dinamica delle nubi temporalesche è al momento, secondo me, la sfida più appassionante del campo.

SCINTILLE IN QUOTA
Illustrazione dell’aereo Nasa ER-2 mentre trasporta la strumentazione della missione Aloft per registrare i raggi gamma che si formano nelle nubi temporalesche. University of Bergen / Mount Visual

Può descriverci il progetto recentemente finanziato dedicato allo studio dei lampi gamma terrestri?

Nel 2023 abbiamo fatto una campagna aerea in Florida e nel Golfo del Messico, usando un aereo della Nasa in grado di volare ad alta quota, 20 km sopra le nubi temporalesche. Abbiamo ottenuto risultati eccezionali che stanno trasformando questo campo di ricerca. Abbiamo scoperto nuovi fenomeni e abbiamo mostrato che tutto quello che sapevamo prima, grazie a osservazioni dallo spazio, era solo la punta dell’iceberg. Con questo nuovo progetto torneremo a volare sopra le nubi temporalesche, questa volta con strumenti in grado di ottenere l’immagine delle nubi in raggi gamma e, contemporaneamente, l’immagine dei fulmini usando dei ricevitori radio direttamente a bordo dell’aereo. Una cosa del genere non è mai stata fatta prima d’ora e permetterà di “vedere” le regioni responsabili dell’emissione gamma nelle nubi e come queste evolvono in seguito a un fulmine. Inoltre, permetterà di testare una delle ipotesi sulla formazione dei fulmini, che è ancora uno dei principali problemi irrisolti in questo campo di ricerca.

Voli ad altissima quota sopra i temporali: sembra un’esperienza piuttosto avventurosa, per un ricercatore. Ci sarà anche lei, a bordo dell’aereo?

Essere in Florida nel 2023 e osservare in tempo reale le misure del nostro strumento in volo a centinaia di chilometri di distanza è stato il momento scientificamente più eccitante della mia carriera dai tempi del lancio di Agile. Non vedo l’ora di ripetere questa esperienza, questa volta con la responsabilità completa della missione. Purtroppo, non ho potuto, e non potrò salire sull’aereo: è un monoposto e i piloti volano in una specie di tuta spaziale sotto ossigeno, necessario per la quota di volo quasi doppia rispetto a quella di un normale aereo passeggeri. Ma essere là al centro di controllo, vedere i dati dipanarsi davanti ai miei occhi in tempo reale, e condividere questo momento con altri ricercatori che hanno speso anni di carriera sullo stesso progetto sarà per me come volare ancora più in alto dell’aereo stesso.

FULMINE INTRANUVOLA
È il nome di questa particolare tipologia di fulmine: si verifica all’interno della nube temporalesca o da una nube all’altra. Crediti: M. Clark, Cloud Atlas

Ecco, a proposito di aerei passeggeri: c’è anche la sicurezza aerea fra le possibili ricadute dei suoi studi?

L’obiettivo del progetto è ricerca fondamentale. Non vedo ricadute pratiche immediate, anche se non posso escluderle per il futuro, soprattutto per quanto riguarda la comprensione dell’impatto delle nubi temporalesche sulla chimica e la dinamica dell’atmosfera, ed eventualmente sul clima. Oppure, dal punto di vista tecnologico, per l’ottimizzazione degli strumenti per la rivelazione di fulmini da terra. Non sono invece un grande fan dell’associazione dei Tgf a problematiche di sicurezza aerea. Ci sono molti ottimi motivi da parte di un pilota per evitare di volare dentro una nube temporalesca, prima di pensare ai Tgf. Studi recenti hanno mostrato che bisogna essere veramente vicino alla regione di produzione di un Tgf brillante, entro poche centinaia di metri, perché i passeggeri ricevano una dose di radiazione preoccupante. Tali zone sono all’interno delle regioni convettive delle nubi, che gli aerei passeggeri tendono ad evitare comunque per via dell’elevata turbolenza. È vero che abbiamo mostrato che ci sono molti più Tgf di quanto si pensava, ma questi sono anche fino a decine di migliaia di volte meno intensi.

Gli advanced grant, come quello che le è stato assegnato, sono tra i finanziamenti dell’Erc probabilmente i più ghiotti. E sono riservati ai ricercatori di maggior successo, “leader eccezionali in termini di originalità e importanza dei loro contributi di ricerca”, recita il bando. È stato difficile aggiudicarsene uno? E come lo spenderà?

Riguardo gli Erc Advanced Grant, ci sono state un totale di 2534 proposte inviate, e solo 281 sono state approvate, l’11,4 per cento. La Norvegia ha avuto cinque grant approvati, di cui solo due in discipline Stem, entrambi all’Università di Bergen. Un bel risultato, direi, sia per me sia per la mia università. Quanto all’impiego dei 3,5 milioni di euro, un milione è destinato alla sola campagna di volo. Il progetto finanzierà poi in parte ricercatori e tecnici che fanno già parte del nostro gruppo a Bergen, che si occuperanno della realizzazione dello strumento gamma, delle simulazioni necessarie per ottimizzare gli strumenti e della pipeline di analisi dati. Il progetto finanzierà anche un nuovo studente di dottorato, che si occuperà delle calibrazioni dello strumento gamma e dell’estrazione delle immagini. Inoltre, il progetto finanzierà attività sperimentale di molti collaboratori, fra Stati Uniti, Spagna e Messico.

L’Italia non attrae scienziati, anzi, sembra quasi respingerli: a fronte di numerosi italiani vincitori di grant Erc, sono relativamente pochi quelli – italiani e non – che scelgono di condurre le proprie ricerche qui, anche se quest’anno la situazione è assai migliorata. Quali sono secondo lei i motivi e quali le possibili soluzioni?

Questa è una domanda complessa, che ovviamente merita una risposta complessa. Posso presentare il mio caso personale, che forse è un po’ atipico. Ho deciso di trasferirmi all’estero a quarant’anni suonati, nonostante una posizione permanente all’Inaf, per un misto di ambizione scientifica e prospettive di carriera. È stata una scelta rischiosa, che per mia fortuna ha pagato. Mi rendo conto che molti ricercatori non hanno il “lusso” di questa scelta, e quando si trasferiscono lo fanno magari per necessità, perché non vedono altre possibilità per restare nella ricerca in Italia. Questa situazione si può sicuramente curare. In parte con l’aumento delle risorse destinate alla ricerca, ma questa è la parte semplice e ovvia della risposta. Meno ovvio è come le risorse vengono impiegate e con quali condizioni al contorno. Penso a un’amministrazione e a una burocrazia che siano di supporto, e non di intralcio. Penso a prospettive di carriera chiare e basate sul merito. Penso anche e soprattutto a un ambiente culturale che consideri la ricerca e l’attività intellettuale in generale non come una perdita di tempo ma come una risorsa fondante per il futuro.