Grazie al grande campo di vista e alla risoluzione di OmegaCAM, la potente fotocamera del telescopio VST, nonché alle immagini raccolte dal progetto Vegas, è stato possibile effettuare un censimento cosmico per studiare le galassie in vari ambienti con diversa densità.
Gli ammassi di galassie sono le strutture più grandi tenute insieme dalla gravità. Si trovano nei nodi più densi della “ragnatela cosmica” che pervade l’universo e sono luoghi tutt’altro che tranquilli: al loro interno, le galassie si scontrano e interagiscono tra di loro, spesso in maniera turbolenta, regalando immagini spettacolari ai telescopi che scrutano le profondità del cielo. Recentemente, un team internazionale di astronomi di cui le autrici fanno parte, ha studiato l’ammasso di galassie dell’Idra (Hydra I), che si trova a circa 160 milioni di anni luce da noi. Questo studio ci ha permesso di rivelare deboli strutture nella luce diffusa dell’ammasso, che ci hanno consentito di ricostruire la sua travagliata storia evolutiva.

Tanto si estende nello spazio l’ammasso di galassie dell’Idra (Hydra I), qui catturato dal Vlt Survey Telescope all’Osservatorio del Paranal dell’Eso.
Crediti: Eso/Inaf/M. Spavone, E. Iodice
STUDIARE GLI AMMASSI DI GALASSIE
Secondo il modello cosmologico Λ Cold Dark Matter (Λcdm), gli ammassi di galassie si formano e crescono nel tempo raccogliendo, lungo filamenti, gruppi di galassie più piccoli, grazie alla forza di gravità della materia presente. Al centro di questi ammassi, le galassie sono coinvolte in un attivo processo di crescita, dove interazioni gravitazionali e fusioni tra galassie di massa simile, o anche più piccole, giocano un ruolo chiave nel determinarne la loro morfologia e la loro cinematica. Queste interazioni producono una significativa quantità di detriti, che vengono spostati verso le regioni esterne delle galassie e trattenuti dall’alone di materia oscura. Questi detriti possono manifestarsi come stelle debolmente legate, ammassi globulari, scie stellari e code mareali, contribuendo così alla formazione di aloni stellari e della luce intra-ammasso, che riempie gli spazi tra le galassie. Tutte queste strutture sono più deboli di oltre 4 magnitudini rispetto alle regioni centrali delle galassie, avendo una luminosità superficiale molto bassa, presentano popolazioni stellari multiple e cinematica complessa, e continuano a crescere nell’epoca attuale. A grandi distanze dal centro della galassia, i tempi dinamici sono più lunghi e quindi tutte queste strutture possono sopravvivere per diversi miliardi di anni.
La luce intra-ammasso (o Icl, dall’inglese Intracluster light) è una componente diffusa che pervade lo spazio intergalattico, prodotta da stelle che sono state “sottratte” ad alcune delle galassie dell’ammasso mentre interagivano con le loro compagne. Poiché rappresenta i processi fisici avvenuti nell’ammasso, è considerata un indicatore prezioso della formazione delle strutture in tutti gli ambienti. Sebbene sia fondamentale per lo studio della formazione ed evoluzione delle strutture nell’universo, la luce intra-ammasso risulta essere molto difficile da osservare, a causa della sua bassa luminosità. Per poterla osservare abbiamo bisogno di strategie ad hoc, che consentano di determinare una stima accurata del fondo del cielo in modo da poterlo separare dall’Icl e di un’accurata modellizzazione di tutte le sorgenti luminose (stelle e galassie) presenti nell’ammasso. A oggi, sono stati utilizzati diversi metodi per rilevare l’Icl in gruppi e ammassi, utilizzando telescopi terrestri e spaziali. Sulla base dei nuovi dati ottenuti, sono state derivate diverse proprietà dell’Icl, come la distribuzione proiettata in 2D, il colore e la metallicità, che vengono utilizzate per distinguere tra i principali canali di formazione di questa componente.
Studi recenti hanno inoltre dimostrato che l’Icl può essere considerata un tracciante luminoso della materia oscura e che può essere utilizzata come un orologio dinamico, in quanto ci fornisce indicazioni sul grado di evoluzione di un ammasso. Infatti, grazie alle nuove osservazioni fatte con i telescopi di ultima generazione, siamo stati in grado di osservare l’Icl in molti ammassi, scoprendo che maggiore è la sua quantità più evoluto è l’ammasso.
Gli ammassi di galassie sono quindi dei veri e propri laboratori naturali che offrono un’opportunità unica per esplorare e comprendere le complesse interazioni che hanno plasmato l’universo. La loro osservazione e il loro studio possono rivelare dettagli fondamentali sulle leggi fisiche che governano l’evoluzione delle galassie e la struttura dell’universo stesso.
HYDRA I VISTO DA VST

Vlt Survey Telescope è un telescopio da 2,6 metri dotato di una camera CCD con campo visivo quattro volte l’area della Luna piena. Crediti: Eso
Hydra I è un ammasso di galassie particolarmente ricco e massivo, situato a circa 160 milioni di anni luce da noi. La galassia più brillante di questo ammasso, NGC 3311, si trova al suo centro ed è circondata da emissioni a raggi X che suggeriscono dinamiche complesse.
Negli ultimi anni, i ricercatori si sono concentrati su NGC 3311 e un’altra galassia brillante, NGC 3309, entrambe circondate da un alone stellare diffuso. Questo alone contiene detriti stellari, probabilmente derivanti da galassie più piccole che vengono distrutte mentre si avvicinano all’ammasso. La cinematica delle stelle suggerisce che l’ammasso stia attivamente assemblando massa, in particolare attraverso fusioni di ammassi più piccoli.
Studi recenti hanno inoltre mostrato che molte galassie nell’ammasso stanno subendo la cosiddetta Ram pressure stripping, un termine usato in astrofisica che potrebbe essere tradotto come “spoliazione per pressione dinamica”. Questo fenomeno si verifica quando una galassia si muove attraverso un fluido denso, come il gas caldo presente tra le galassie di un ammasso: la frizione tra il gas caldo e il gas più freddo che circonda la galassia provoca la fuoriuscita di quest’ultimo, che si va ad aggiungere al materiale circostante. Hydra I ospita anche un numero significativo di galassie nane, con ben 317 candidati già identificati. Studi recenti hanno ampliato notevolmente questo elenco, rivelando molte nuove galassie nane, comprese galassie ultradiffuse.
La distribuzione delle galassie all’interno dell’ammasso mostra tre aree principali di alta densità. È interessante notare che il numero di galassie nane diminuisce verso il centro, supportando l’idea che vengano distrutte dalle intense forze gravitazionali dell’ammasso. Queste evidenze indicano un ambiente galattico vibrante e in evoluzione, con strutture che si fondono attivamente nell’ammasso.
Il nostro studio di questo ammasso di galassie è stato possibile grazie a immagini profonde e ad alta risoluzione ottenute con il telescopio italiano Vst (Vlt Survey Telescope), situato presso l’Osservatorio di Paranal dello European Southern Observatory (Eso), sulle Ande cilene, che dal 2022 è gestito interamente dall’Inaf. Le osservazioni di Hydra I sono state raccolte nell’ambito del progetto Vegas (Vst Early-Type Galaxy Survey), un censimento cosmico ottimizzato per studiare le galassie sfruttando il grande campo di vista e la risoluzione di OmegaCam, la potente fotocamera del Vst. Questa fotocamera è un vero e proprio “grandangolo cosmico”, in grado di osservare una porzione di cielo di un grado quadrato, pari a circa quattro volte l’area apparente della Luna piena. Questi dati offrono un’anteprima delle osservazioni che saranno realizzate, con profondità e risoluzione comparabili ma su porzioni del cielo ancora più grandi, dal satellite Esa Euclid, lanciato lo scorso anno, e dalla Legacy Survey of Space and Time (Lsst) dell’Osservatorio Vera C. Rubin, attualmente in costruzione in Cile.
LE STRUTTURE DEBOLI DI HYDRA I
La distribuzione delle galassie all’interno di Hydra I mostra che la maggior parte della luce delle galassie è concentrata nel nucleo dell’ammasso, proprio dove si trova anche l’emissione di raggi X. Nel nostro studio, pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics, abbiamo individuato due aree con un’alta densità di galassie, una a nord e l’altra a sud-est del nucleo. Ci siamo quindi concentrati sull’analisi della distribuzione di luce delle galassie brillanti dell’ammasso in ognuna delle sottostrutture individuate, allo scopo di poter poi “isolare” la luce diffusa. Inoltre, abbiamo analizzato in dettaglio le strutture più deboli all’interno dell’ammasso. In questo modo, è stato possibile stimare la quantità di luce intra-ammasso e studiare le strutture dovute alle interazioni tra galassie, come ad esempio le code mareali o i tentacoli di medusa osservati nella galassia a spirale NGC 3312.

Ngc 3314a ed Ngc 3314b viste dal Vst. Crediti: Eso/Inaf/M. Spavone, E. Iodice
NGC 3312 e NGC 3314A
NGC 3312 e NGC 3314A sono le due galassie più brillanti della regione che si trova a sud-est del nucleo dell’ammasso. Le immagini dettagliate presentate in questo lavoro mostrano filamenti stellari che si estendono dalla galassia NGC 3312 verso sud-ovest, che indicano come essa sia vittima della suddetta Ram pressure stripping. La galassia si muove attraverso il gas caldo sospeso tra le galassie dell’ammasso, che esercita una forza sul gas più freddo presente nello strato esterno della galassia stessa, “strappandolo” via e causando la sua fuoriuscita nel cosmo. Questo gas freddo è il materiale grezzo da cui si formano le stelle, il che significa che le galassie che perdono gas in questo modo rischiano di avere una popolazione stellare in diminuzione. Le galassie colpite – solitamente quelle che si avvicinano al centro degli ammassi – tendono a formare, a lungo andare, lunghi filamenti di gas che si estendono dietro di loro, guadagnandosi il soprannome di galassie medusa.
Più a sud di NGC 3312, troviamo un sistema di due galassie a spirale, NGC 3314A/B. Ma non bisogna farsi ingannare dalla prospettiva: in realtà, non stanno interagendo affatto. Le due galassie non sono fisicamente legate gravitazionalmente e sembrano sovrapporsi solo perché viste in proiezione lungo la linea di vista.
Mentre la sottostruttura a sud-ovest è caratterizzata dai processi di Ram pressure stripping, nel nucleo dell’ammasso e nella struttura a nord troviamo la maggior parte della luce diffusa di intracluster e segni di interazioni tra le galassie.
La nostra analisi fotometrica dell’ammasso di galassie Hydra I permette di ricostruire la sua storia di formazione ed evoluzione e di capire quale dei possibili scenari di formazione abbia formato la luce diffusa in questo particolare ammasso. La presenza di sottostrutture, la rilevazione dei detriti stellari, caratteristiche tipiche delle interazioni gravitazionali, e le evidenze del verificarsi di un continuo processo di Ram pressure stripping indicano che si tratta di un ammasso ancora in fase di evoluzione.

Dettaglio della galassia a spirale Ngc 3312, la cui forma simile a una medusa mostra come il gas espulso possa tornare indietro a causa di un fenomeno chiamato ram pressure stripping. Crediti: Eso/Inaf/M. Spavone, E. Iodice
PROSPETTIVE FUTURE
La profondità e la risoluzione dei dati ottenuti con il telescopio Vst ci hanno permesso di studiare in dettaglio la luce, anche quella più debole, della parte dell’ammasso coperta dalle nostre osservazioni (circa 0,4 volte il raggio viriale dell’ammasso, una misura che rappresenta il confine entro il quale la materia dell’ammasso è gravitazionalmente legata e in equilibrio dinamico). Per questa ragione abbiamo acquisito immagini profonde con Vst per tre campi aggiuntivi intorno al nucleo dell’ammasso, coprendo le regioni a est e sud-est. Grazie a questi nuovi dati, intendiamo esplorare le aree a minore densità per derivare una mappa di densità estesa dei membri dell’ammasso e confrontarne la struttura e i colori con quelli osservati nel nucleo. Questa analisi arricchirebbe il quadro che abbiamo tracciato della storia della formazione dell’ammasso Hydra I.
Inoltre, la regione dell’ammasso Hydra I sarà coperta dalla Euclid Wide Survey in corso con il telescopio spaziale Euclid, e dal futuro Legacy Survey of Space and Time (Lsst) con il Rubin Observatory. I dati presentati in questo lavoro si avvicinano, in termini di profondità e risoluzione, a quelli attesi dalle strutture osservative sopra citate, sebbene su aree limitate del cielo. Questo lavoro (così come molte delle survey di imaging profondo multibanda condotte nell’ultimo decennio) può quindi offrire un’anteprima della scienza che sarà presto resa possibile dalle nuove survey e rappresenta un banco di prova per sviluppare le competenze necessarie alla gestione dei prossimi enormi set di dati.