Curiosità dallo spazio
La violenta e polverosa nascita di una stella

Crediti: Esa/Webb, Nasa & Csa, Tazaki et al.
Questa è la fotografia dell’irruenta nascita di un astro e dei primi “vagiti” del suo sistema di pianeti. A fornircela è il telescopio spaziale James Webb, che ha catturato gli straordinari dettagli di HH 30, brillante regione che circonda una stella appena nata in una nebulosa oscura della Nube del Toro. HH sta per Herbig-Haro, regioni che si accendono quando il materiale eruttato da una stella in fasce sbatte contro il gas e le polveri nelle vicinanze. Nella fotografia vediamo tanta luce e tanta polvere. In passato, con l’interferometro Alma è stato possibile osservare grani di polvere più grossi, delle dimensioni di poco più di un millimetro, e che si addensano in una stretta regione all’interno del disco protoplanetario. Il disco protoplanetario di HH 30 è stato scoperto dal Telescopio spaziale Hubble nel 1995 e dista 450 anni luce dalla Terra. L’occhio infrarosso di Webb è sensibile proprio all’emissione di minuscoli granelli di polvere, grossi solo millesimi di millimetro. Più o meno le dimensioni di un batterio. I granelli di queste dimensioni formano un diffuso pulviscolo che avvolge la regione, amata dagli astronomi di tutto il mondo perché il disco di pianeti in formazione è visibile di taglio dalla Terra, permettendo così di studiare come i granelli di polvere si aggregano ed evolvono.
Prime immagini dirette di un esopianeta con CO2

Il telescopio spaziale James Webb ha ottenuto le prime immagini dirette dell’anidride carbonica nell’atmosfera di un pianeta al di fuori del Sistema solare. Al centro della scoperta è HR 8799, un sistema multiplanetario a 130 anni luce di distanza da noi. Si tratta di un sistema giovane, con un’età di circa 30 milioni di anni – una piccola frazione rispetto ai 4,6 miliardi di anni del Sistema solare. I suoi pianeti, ancora caldi a causa della loro violenta formazione, emettono grandi quantità di luce infrarossa. Le osservazioni dallo spazio forniscono prove convincenti che i quattro pianeti giganti del sistema si siano formati in modo simile a Giove e Saturno, attraverso la lenta crescita dei loro nuclei solidi; inoltre, confermano che Webb non si limita a dedurre la composizione atmosferica analizzando la luce stellare, ma che è anche in grado di studiare direttamente la chimica delle atmosfere degli esopianeti. Il team spera di utilizzare i coronografi di Webb per analizzare altri pianeti giganti e confrontare la loro composizione con i modelli teorici. L’analisi delle osservazioni, che comprendevano anche quelle di 51 Eridani, un sistema a 96 anni luce di distanza, è stata pubblicata su The Astronomical Journal.
Il test che può svelare la vita extra-terrestre

Individuare tracce di vita extraterrestre è una delle sfide più ardue che si pone oggi la ricerca astrobiologica, ma anche l’obiettivo finale di chi cerca e studia i pianeti fuori dal Sistema solare. Scrutare esopianeti lontani in cerca di biofirme chimiche nelle loro atmosfere non sempre permette di distinguere un ambiente potenzialmente abitabile da uno realmente abitato. Le biofirme, inoltre, possono derivare anche da processi non biologici, rendendo difficile la conferma di un’origine vivente. E se esistesse un modo più semplice e diretto per trovare la vita oltre la Terra? Per esempio, un metodo in grado di individuare inequivocabile la sua presenza rivelando il movimento microbico? È quello che propone un gruppo di scienziati guidati della Technische Universität Berlin: un test di motilità, come viene chiamato dagli addetti ai lavori, che, senza l’ausilio di sofisticate apparecchiature, permette di individuare la presenza di microrganismi in grado di muoversi autonomamente. Una capacità, questa del movimento, che rappresenta un solido indizio di vita. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Frontiers in “Astronomy and Space Sciences”.
Partner e progetti dell’Inaf
26 milioni di galassie per Euclid

La missione Euclid dell’Agenzia spaziale europea (Esa) – con un importante contributo dell’Italia attraverso l’Agenzia spaziale italiana (Asi), l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e diverse università italiane – ha svelato i primi dati scientifici ottenuti dalle osservazioni di regioni di cielo estremamente lontane. Coprendo una vasta area del cielo in tre mosaici di immagini, i risultati ottenuti forniscono uno spunto unico per comprendere meglio la struttura su larga scala dell’universo e la formazione delle galassie. Il “detective dell’universo oscuro” è riuscito a rilevare più di 26 milioni di galassie, molte delle quali si trovano a distanze impressionanti, fino a 10,5 miliardi di anni luce dalla Terra. Tra queste, sono più di 380mila quelle che sono già state classificate dal telescopio, basandosi sulla visione dettagliata della loro morfologia grazie all’utilizzo combinato di intelligenza artificiale e citizen science. Un simile approccio ha permesso anche l’individuazione di 500 oggetti candidati come lenti gravitazionali. I dati rilasciati includono inoltre numerosi ammassi di galassie, nuclei galattici attivi e fenomeni transitori, che sono fattori chiave per capire le forze invisibili che modellano il cosmo.
Ska-Low, primo sguardo sull’universo

Un’area del cielo equivalente a circa cento lune piene in cui si vedono oltre 85 delle galassie più brillanti conosciute in quella regione, tutte con buchi neri supermassicci al centro. Questo ci mostra la prima immagine realizzata dal radiotelescopio australiano Ska-Low dell’Osservatorio Ska (Skao) funzionante come interferometro. I dati sono stati ottenuti da una versione preliminare del telescopio a basse frequenze, utilizzando 1.024 delle 131.072 antenne previste. Ska-Low è, infatti, solo uno dei due telescopi in costruzione dall’Osservatorio Ska, un’iniziativa internazionale co-ospitata in Australia e Sudafrica. Numerosi sono i contributi da parte di nazioni di tutto il mondo, inclusa l’Italia, che con l’Istituto nazionale di astrofisica gioca un ruolo fondamentale, sia scientifico che tecnologico, in questo ambizioso progetto. L’immagine mostra un’area del cielo di circa 25 gradi quadrati; i puntini non sono stelle, bensì alcune delle galassie più luminose dell’universo, osservate nelle lunghezze d’onda radio. Una volta completata l’installazione di tutte le antenne, lo stesso campo del cielo rivelerà molto di più rispetto a quello che possiamo vedere oggi: gli scienziati calcolano che il telescopio sarà abbastanza sensibile da mostrare più di 600mila galassie nello stesso fotogramma.
L’Osservatorio Cta diventa un Eric

A gennaio 2025, la Commissione europea ha istituito il Cherenkov Telescope Array Observatory (Ctao) come Consorzio europeo di infrastrutture di ricerca (Eric), rafforzando così la sua missione di diventare l’osservatorio per l’astronomia dei raggi gamma più grande e potente al mondo. Il Ctao Eric è stato istituto con il supporto internazionale di 11 paesi, che contribuiscono allo sviluppo tecnologico, alla costruzione e alle operazioni dell’osservatorio. L’Eric non solo fornisce all’organizzazione centrale un quadro formale per accettare e gestire gli attuali prototipi dei telescopi, ma consente anche l’avvio immediato della costruzione dell’intera schiera di oltre 60 telescopi distribuiti nei due siti, in Spagna e in Cile. A Ctao-Nord, dove il prototipo dei telescopi cosiddetti Large-Sized Telescope (Lst) è in fase di collaudo, si prevede che tra 1-2 anni saranno costruiti altri tre LSt e un Medium-Sized Telescope (Mst). Nel frattempo, a Ctao-Sud, si prevede che i primi cinque Small-Sized Telescopes (Sst) e due Mst saranno consegnati all’inizio del 2026. Così, grazie all’Eric, l’osservatorio potrà gestire configurazioni intermedie di telescopi già a partire dal 2026.
Integral, missione compiuta

Dopo oltre 2886 orbite e più di 22 anni, lo scorso febbraio sono terminate le osservazioni del telescopio spaziale Integral dell’Esa. Con la sua capacità di scansionare l’universo nei raggi gamma, ha raccolto informazioni sui fenomeni celesti più esotici ed energetici. Gli occhi sensibili di questo satellite ci hanno consentito di studiare fenomeni misteriosi come i gamma ray burst, per comprendere che quelli più lunghi, che durano diversi secondi, potrebbero essere dovuti al collasso spontaneo di stelle massicce che diventano supernove, mentre quelli più brevi a buchi neri e stelle di neutroni che si scontrano tra loro. Non solo, il telescopio ha catturato il lampo gamma più luminoso mai osservato, avvenuto in una galassia distante quasi due miliardi di anni luce. Integral era stato lanciato il 17 ottobre 2002 dal cosmodromo russo di Baikonur, in Kazakistan. Il telescopio è dotato di un campo visivo molto ampio, che copre circa 900 gradi quadrati di cielo nei raggi X e gamma più energetici, ed è stato in grado di produrre, simultaneamente, immagini e spettri dettagliati alle energie più elevate, aiutandosi con camere a raggi X e ottiche per individuare le sorgenti di raggi gamma. Il satellite rientrerà nell’atmosfera terrestre nel 2029, fra quattro anni.
Grandi scoperte recenti
Ragnatela cosmica, ecco le immagini in HD

Le prime immagini ad alta definizione della “ragnatela cosmica” che struttura l’universo sono state ottenute grazie a uno studio guidato da ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca in collaborazione con l’Istituto nazionale di astrofisica. Grazie a Muse (Multi-Unit Spectroscopic Explorer), innovativo spettrografo installato presso il Very Large Telescope dell’European Southern Observatory, in Cile, il team ha catturato una struttura cosmica risalente a un universo molto giovane. La scoperta, pubblicata su Nature Astronomy, apre una nuova prospettiva per comprendere l’essenza della materia oscura. Sfruttando le capacità offerte dal sofisticato strumento, il gruppo di ricerca ha condotto una delle più ambiziose campagne di osservazione con Muse mai completata in una singola regione di cielo, acquisendo dati per centinaia di ore. Un solido pilastro della cosmologia moderna è l’esistenza della materia oscura che, costituendo circa il 90 per cento per cento di tutta la materia presente nell’universo, determina la formazione e l’evoluzione di tutte le strutture che osserviamo su grandi scale nel cosmo.
I primi quasar sfidano i limiti della fisica

In un articolo pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics emergono nuove indicazioni che suggeriscono come i buchi neri supermassicci, con masse pari ad alcuni miliardi di volte quella del Sole, si siano formati così rapidamente in meno di un miliardo di anni dopo il big bang. Lo studio analizza un campione di 21 quasar, tra i più distanti scoperti finora, osservati nei raggi X dai telescopi spaziali Xmm-Newton e Chandra. I buchi neri supermassicci al centro di questi titanici quasar, i primi a essersi formati durante l’alba cosmica, potrebbero aver raggiunto le loro straordinarie masse grazie a un accrescimento molto rapido e intenso, fornendo così una spiegazione plausibile alla loro esistenza nelle prime fasi dell’universo. I quasar sono galassie attive, alimentate da buchi neri supermassicci al loro centro, che emettono enormi quantità di energia mentre attraggono materia. I quasar esaminati sono tra gli oggetti più distanti mai osservati e risalgono a un’epoca in cui l’universo aveva meno di un miliardo di anni. L’analisi delle emissioni nei raggi X di tali oggetti ha rivelato un comportamento completamente inaspettato dei buchi neri supermassicci: è emerso un legame tra la forma dell’emissione in banda X e la velocità dei venti di materia lanciati dai quasar.
Abbuffata cosmica per due buchi neri lontanissimi

Caotici e voraci, caratteristiche che potrebbero descrivere perfettamente due buchi neri mostruosi scoperti con l’Osservatorio Neil Gehrels Swift della Nasa. Un gruppo di ricerca ha rilevato per la prima volta un evento transiente di distruzione mareale in cui una coppia di buchi neri supermassicci sta interagendo con una nube di gas nel centro di una galassia distante. Il segnale di questo fenomeno, noto come At 2021hdr, si ripete periodicamente, offrendo agli astronomi un’opportunità unica di studiare il comportamento di questi oggetti cosmici estremi. Da cosa è provocato questo fenomeno? Dopo aver esaminato diversi modelli per spiegare ciò che appariva dai dati, i ricercatori hanno dapprima considerato l’ipotesi di un evento di distruzione mareale, vale a dire la distruzione di una stella che si era avvicinata troppo a uno dei buchi neri, per poi convergere su un’altra possibilità: la distruzione mareale di una nube di gas, più grande del sistema binario stesso. La dinamica è apparsa subito chiara: quando la nube si è scontrata con i due buchi neri, la loro forza di attrazione gravitazionale l’ha fatta a pezzi, formando filamenti attorno alla coppia. La nube si è poi riscaldata per attrito, il gas è diventato particolarmente denso e caldo vicino ai buchi neri, mentre la complessa interazione di forze ha fatto sì che parte del gas venisse espulso dal sistema a ogni rotazione.
Premi, nomine & elezioni
Patrizia Caraveo alla guida della Sait

Per i prossimi tre anni, alla guida della Società astronomica italiana (Sait) ci sarà l’astrofisica Patrizia Caraveo. La Sait è nata nel 1871 come Società degli spettroscopisti italiani e oggi si occupa di astronomia e diffusione della cultura scientifica. Scienziata di fama internazionale, Caraveo è stata dirigente di ricerca all’Inaf, ha collaborato a diverse missioni spaziali e ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero. È Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, fa parte del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica, nel 2014 è entrata nella lista degli Highly Cited Researchers compilata da Reuters, nel 2021 ha ricevuto il premio “Enrico Fermi” ed è nella lista 100 donne contro gli stereotipi. È anche autrice di numerosi libri. «Auspico una Sait che, forte della sua lunga tradizione, guardi al futuro. Mi adopererò per permettere alla Società di declinare le sue eccellenze continuando a guardare avanti per crescere e aumentare la sua visibilità», così Caraveo commenta la sua nomina. Durante il suo mandato grande attenzione sarà riservata ai Campionati di astronomia, alle Scuole estive per la preparazione dei partecipanti alle gare internazionali e a quelle rivolte al corpo docente.
La nuova presidente della Sisfa è Valeria Zanini

Dallo scorso febbraio, la Società italiana degli storici della fisica e dell’astronomia (Sisfa) ha una nuova presidente: Valeria Zanini. Già responsabile del museo La Specola e dei beni culturali dell’Osservatorio astronomico di Padova, i suoi interessi di ricerca vertono sulla storia dell’astronomia nei secoli XVII-XIX e sugli strumenti scientifici della stessa epoca. È stata responsabile del Servizio musei dell’Inaf fino al 2015 e ora collabora attivamente con il Servizio biblioteche, musei e terza missione, occupandosi della tutela e valorizzazione del patrimonio storico sia mediante studi e ricerche sia attraverso l’organizzazione di eventi e mostre. Dal 2015 svolge con contratto a titolo gratuito metà del corso di Storia dell’astronomia per la laurea in astronomia presso l’Università di Padova. «È stata una sorpresa, peraltro molto gradita. Significa che il lavoro fatto negli ultimi tre anni in consiglio direttivo, assieme a tutti i colleghi uscenti, è stato apprezzato e riconosciuto», commenta Zanini, la quale resterà in carica per i prossimi tre anni.