Ska-Low: un’avventura per l’Inaf

Ska-Low: un’avventura per l’Inaf

(di Jader Monari)

Un’avventura con diversi attori, un lungo percorso, delusioni e soddisfazioni. La partecipazione dell’Inaf al progetto Ska-Low è stata un cammino difficile, che è sfociata però in un importante contributo dell’istituto italiano a un grande progetto internazionale.

VIVALDI
I prototipi di sensori a bassa frequenza progettati
da Inaf Istituto di Radioastronomia e Cnr-Ieiit per lo Square Kilometer Array. Crediti: Inaf/J. Monari

Poche sono le persone che ne sono a conoscenza, ma l’idea della partecipazione al progetto Ska in Italia è nata grazie alla volontà e alla determinazione di una sola persona: l’ingegnere Stelio Montebugnoli. Il suo sogno era ristrutturare e reingegnerizzare la grande Croce del Nord, enorme array di 30mila metri quadrati di area collettrice, costruito nel 1964 nelle pianure bolognesi, nei pressi di Medicina. Grazie alla sua struttura e ai 1536 dipoli che la costituivano, disposti ad array, era un test bed perfetto per sviluppare le tecnologie future per il radiotelescopio più potente al mondo, un promettente strumento che, grazie a grande sensibilità, campo di vista e risoluzione, avrebbe rivoluzionato la fisica moderna.

L’utilizzo di antenne cilindro paraboliche con struttura T-Mills non era un’idea balzana. Il 10 agosto 2000, quando all’Assemblea Generale della International Astronomical Union (Iau) a Manchester fu firmato da 11 paesi il Memorandum di intesa per istituire il comitato direttivo dell’International Square Kilometre Array, esistevano già diversi disegni concettuali. Le tipologie delle architetture variavano dai classici array stile Lofar (il Low Frequency Array, allora già esistente), ad array di parabole come l’Ata americano (Allen Telescope Array), a enormi parabole come Arecibo o il cinese Fast (Five hundred meter Aperture Spherical Telescope), ad appunto antenne cilindro paraboliche come il Molongloo australiano, fino a sistemi più fantasiosi basati su lenti concentriche (lenti di Lunemburg) o sistemi a specchio piano, con illuminatore su dirigibile situato a centinaia di metri di altezza.

Tutti questi sistemi erano derivati da un unico progetto della Nasa formato da una schiera di 16 chilometri di diametro di 1000 parabole da 100 metri, che lavorano a lunghezze d’onda di 21 centimetri. Lo scopo principale era il rilevamento di vita intelligente extraterrestre, l’attuale Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence). Chiamato progetto Cyclops, non era dissimile dal concetto di Ska-Mid, ma circa di un ordine di grandezza superiore in termini di costi (10 miliardi di dollari) e sensibilità.

Sarà un’avventura?

SKALA 2
Uno dei due prototitpi previsti per la realizzazione delle antenne Ska-Low, progettato e prodotto dalla University of Cambridge. Crediti: Inaf/J. Monari

Stelio Montebugnoli, coadiuvato da due giovani ingegneri (Federico Perini e il sottoscritto, Jader Monari), iniziò questa incredibile avventura con un piccolo finanziamento estrapolato dai fondi di funzionamento della Stazione di Medicina, con l’autorizzazione e la collaborazione dell’allora direttore dell’Istituto di Radioastronomia (Ira), Franco Mantovani. In quel periodo, l’Inaf e il resto dell’Europa si stavano ancora organizzando, e la fase preparatoria, definita PrepSka, si concentrava principalmente sulla definizione e costituzione dei gruppi di lavoro, nonché sulla ricerca dei fondi necessari per lo studio di fattibilità di questo enorme strumento di nuova generazione.

L’opportunità decisiva si presentò nel 2005 con il finanziamento di Skads, un programma europeo internazionale della durata di quattro anni, supportato dall’Unione Europea nell’ambito del Sixth Framework Program. Coinvolgendo 26 istituti di 13 paesi diversi, Skads aveva come obiettivo lo studio di nuove tecnologie, componenti, architetture e algoritmi software da applicare ai radiotelescopi di prossima generazione.

Skads era strutturato in vari design studies che coprivano una vasta gamma di attività: dallo studio di fattibilità all’assessment di attività tecnologiche e prototipali. L’Ira partecipava principalmente agli ultimi, concentrandosi sullo sviluppo di un ricevitore per l’Aperture Array Olandese denominato Embrace (400-1600MHz) e sul progetto Best (Basic Element array for Ska Training), il cui obiettivo era la reingegnerizzazione di quattro cilindri parabolici della Croce del Nord.

La svolta italiana

SKALA 4.1AL
Il prototipo italiano per l’array Ska-Low, sviluppato da Inaf in collaborazione con Cnr-Ieiit e Sirio Antenne, a partire dal design elettromagnetico Skala 4 del consorzio internazionale Aperture Array Design Construction. Crediti: Icrar

È proprio grazie al progetto Best che è stato sviluppato il primo prototipo di link in fibra, definito RFoF (RF over fibre), un sistema ottico per la trasmissione di segnali a radiofrequenza analogici, captati dalle sensibili antenne di un radiotelescopio. Questa nuova tecnologia, già in uso nell’industria, veniva impiegata per la prima volta nell’ambito radioastronomico allora dominato dai cavi coassiali e si è rivelata essere la cross-cutting technology che, grazie al successo della sua applicazione, ha conferito un’ottima visibilità al lavoro dei ricercatori italiani.

Alla chiusura del progetto Best e durante la presentazione conclusiva a Limelette in Belgio, il sistema italiano ha avuto un grande successo presentando veri dati di un’osservazione reale. Il gruppo di ricercatori dell’Inaf-Ira, nel corso dei quattro anni di Skads, ha acquisito un notevole know-how, affrontando tutti gli aspetti di progettazione di una catena ricevente, dalle antenne ai sistemi di acquisizione, incluso alcuni lavori preparatori come quello per la valutazione della temperatura dell’antenna dell’array, poi rivelatosi essenziale in un secondo momento, quando sono stati installati sul campo i veri prototipi delle stazioni Ska.

Le difficili collaborazioni

NELLA MORSA DEL RAGNO
Alcune delle antenne del Murchison Widefield Array, il precursore più longevo del progetto Ska, operativo dal 2013. Crediti: Curtin University

Il periodo successivo è stata l’epoca consortile con Aavp (Aperture Array Verification Program), guidato dai Paesi Bassi, e che ha coinvolto nove paesi europei, l’Australia e il Sudafrica. L’obiettivo del consorzio era sviluppare progetti mirati con un budget totale di 18-20 milioni di euro, tra cui Aperture Array Low (AAlow), di competenza Inaf/Icrar (Australia).

L’accordo finanziato dall’Inaf è stato firmato dal presidente Bignami, che vedeva in questa opportunità un treno in partenza per lo sviluppo del progetto Ska. Il gruppo tecnologico dell’Inaf, grazie all’esperienza con Best, si è concentrato sulla progettazione a livello di sistema della catena ricevente, focalizzandosi su antenne, ricevitori e sistemi di acquisizione. Già all’epoca avevamo una visione chiara su come realizzare la catena, tanto che nel 2010 abbiamo presentato un’architettura identica a quella che costituisce la baseline di oggi.

Nel frattempo, a livello internazionale si è costituita la Ska Organization (Skao). Nel 2016 la Aperture Array Verification Program (Aavp) si è trasformata in Aperture Array Design Consortium (Aadc), un consorzio sempre a guida olandese dedicato allo sviluppo di Lfaa (Low Frequency Aperture Array) uno dei workpackages di Skao e nuovi partner si sono uniti al vecchio gruppo, tra i quali il Regno Unito (con le università di Cambridge e Oxford) e la Cina. Grazie alla win-win solution si spartiva così il sito di installazione di Ska fra Australia (bassa frequenza) e Sudafrica (alta frequenza). L’Italia perdeva la candidatura a ospitare l’headquarter del progetto Ska a Padova a discapito della bucolica Jodrell Bank, provocando un terremoto interno all’Inaf e al Miur. Questo è stato il tempo “più buio”, nel quale l’Italia ha rischiato di uscire dal progetto. Grazie all’intervento in calcio d’angolo di Bignami e una negoziazione di compensazione, siamo rientrati in gioco salvando tutti gli sforzi fatti.

Purtroppo, l’epoca consortile di Aadc si è rivelata un periodo tutt’altro che semplice. Invece di creare un gruppo collaborativo focalizzato sulla ricerca di una soluzione comune, il lavoro è stato impostato in modo competitivo tra i vari team del progetto. È stato il momento della “guerra delle antenne”, con gruppi inglesi, australiani e italiani che cercavano di convincersi reciprocamente che la propria soluzione fosse la migliore. Al posto di adottare un approccio di ingegneria di sistema, in cui i requisiti dei singoli elementi vengono derivati con un criterio top-down secondo il V-model (dai requisiti di sistema al dettaglio dei singoli elementi, passando poi all’implementazione fino al test e verifica delle specifiche), è stata adottata una filosofia completamente opposta. I requisiti di sistema sono stati “adattati” in funzione delle specifiche dei singoli componenti, soprattutto alle soluzioni dei nostri partner britannici. Questo, purtroppo, è stato il peccato originale del consorzio Aadc che l’ha portata al default completo.

BRICOLAGE
Assemblaggio e integrazione dei Front End Module, sistemi ottici per la trasmissione con laser del segnale a radiofrequenza captato dalle antenne. Crediti: Icrar

Il contributo italiano è stato relegato allo sviluppo del ricevitore ma grazie alle ottime collaborazioni con l’università di Bologna, il Cnr-Ieiit, l’università di Firenze e il Politecnico di Torino, il gruppo ha conquistato sempre più spazio, sviluppando anche altri elementi quali antenne basate sulla geometria Vivaldi, un sistema innovativo per le misure di performance di antenne/array a bassa frequenza basato su Uav (Unmanned Air Vehicle) nonché un performante sistema di acquisizione/beamforming basato su Fpga (Field Programmable Gate Array). Anche il gruppo dell’Inaf si è espanso proporzionalmente ai nuovi task portati avanti, arricchendolo con il contributo di colleghi dell’Osservatorio di Arcetri, Catania e Iasf di Milano. Nonostante le competenze del gruppo siano diventate sempre più importanti all’interno il consorzio Adc, il sottoscritto come project manager del team italiano, non è riuscito a convincere il management dell’approccio sbagliato al progetto. Gli errori si sono palesati durante l’installazione del primo array costituito dalle  antenne inglesi di Cambridge Skala2, denominato Aavs1 (Aperture Array Verification System 1). È solo con un grande sforzo tutto australiano e italiano che, in qualche modo, si è riusciti a far funzionare l’array, ma con prestazioni non sicuramente all’altezza del progetto Ska. I rumors sul cattivo funzionamento dell’array diventano certezze ed è così che, dopo Lfaa Critical Design Review, il consorzio Aadc è andato in default e il management è stato licenziato.

Un orizzonte di opportunità

VEDUTA AEREA
Aavs2 presso il Murchison Radio-Astronomy Observatory, vicino alla stazione di Boolardy in Australia occidentale. Crediti: Icrar

Il progetto ha affrontato così il secondo momento più critico dal kickoff, ma per l’Inaf questo momento di crisi si è trasformato in una fantastica opportunità. Infatti, già durante il periodo di Aavs1, il gruppo tecnico dell’Inaf/Cnr con la collaborazione dell’azienda Sirio Antenne si era già mossa ingegnerizzando una nuova antenna in alluminio denominata Skala4.0, che sembrava soddisfare tutti i nuovi requisiti imposti da Skao. Il Direttore Scientifico dell’Inaf, Filippo Zerbi, consapevole delle abilità che il gruppo Inaf aveva maturato sul campo e del grande lavoro fatto durante gli anni dell’epoca consortile, grazie a un strategico agreement italo-australiano,  formalizza il finanziamento per la costruzione di un secondo prototipo di array (Aavs2) con le antenne italiane, e un terzo Eda2 (Electronic Digital Array 2), con le piccole antenne “a ragno” già utilizzate per Mwa (Murchison Widefield Array) come soluzione di backup e basso rischio.

 

Con l’approvazione di Skao a questa attività inizia il periodo dei lunghi viaggi in Australia. Questa fase denominata bridging è concepita in tre momenti progressivi il cui obiettivo è confrontare le prestazioni dei due array, installando rispettivamente 1, 64 e 256 antenne. Nella fase intermedia, denominata Aavs1.5, le performances vengono anche misurate con il sistema drone. Con grande soddisfazione tutto funzionava secondo le specifiche aspettate, realizzando anche le prime radiomappe e ricevendo i segnali  anche delle misteriose pulsar. Ovviamente non era perfetto e con ancora tanti particolari da migliorare, ma sicuramente poteva costituire la baseline per la successiva fase di ingegnerizzazione e industrializzazione.

Pochi mesi dopo, il 12 marzo 2019, durante una cerimonia ufficiale presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, i ministri dei primi sei paesi hanno firmato ufficialmente l’adesione al trattato internazionale, dando così vita allo Ska Observatory. 

L’avventura continua…

SKALA 2
Uno dei due prototitpi previsti per la realizzazione delle antenne Ska-Low, progettato e prodotto dall’University of Cambridge. Crediti: Inaf/J. Monari

Oggi, l’Inaf opera come consulente per Skao; con l’avvio della fase di costruzione e industriale, le attività di ricerca legate allo sviluppo tecnologico si stanno gradualmente riducendo. Tuttavia, il nostro team continua a essere parte integrante del processo di verifica attraverso il gruppo di osservazione, fornendo supporto industriale e trasferendo know-how. In parallelo, siamo continuamente coinvolti nello sviluppo di elementi critici per migliorare l’efficienza, l’integrazione, l’installazione e l’affidabilità. Quando necessario e richiesto da Skao, siamo pronti ad affrontare eventuali problematiche che inevitabilmente possono emergere durante il funzionamento dei primi sistemi installati.

In conclusione, l’Inaf ha accumulato un bagaglio straordinario di esperienza e competenze nel campo delle tecnologie radio destinate a Ska-Low, raggiungendo una fama internazionale grazie agli incessanti sforzi e alla dedizione dei suoi ricercatori nel corso degli ultimi vent’anni. Questo trionfo e il vantaggio competitivo conquistato dall’Italia non solo offrono ai giovani studiosi l’opportunità di partecipare alle fasi iniziali di Ska-Low, ma li proiettano anche verso progetti sempre più avanzati, impegnativi e ambiziosi. Un esempio eclatante di questa audacia è la progettazione di un radiotelescopio sulla faccia nascosta della Luna. L’avventura continua, tracciando un futuro vibrante e promettente per la ricerca radioastronomica italiana.