Verso un’astrofisica più intelligente?

Verso un’astrofisica più intelligente?

Negli ultimi anni, l’intelligenza artificiale (IA) ha iniziato a giocare un ruolo cruciale nel futuro dell’astrofisica, aprendo nuove strade alla comprensione dell’universo e diventando un alleato potente nell’analisi di enormi moli di dati generati da telescopi e rilevatori di nuova generazione, ormai non pienamente sfruttabili con i metodi tradizionali. 

SE LA REALTÀ SUPERA LA FANTASIA
Viene usata quando si parla di universo simulato ma la Nebulosa Bolla esiste davvero. Nella foto di Hubble i colori rivelano la presenza di ossigeno (blu), idrogeno (verde) e azoto (rosso). Crediti: Esa/Nasa/Hubble Heritage Team

Quale rapporto si sta delineando tra mondi così connessi come l’astrofisica e l’intelligenza artificiale? Si tratta di un incremento quantitativo delle nostre capacità di scoperta o di una rivoluzione anche qualitativa della ricerca?
I vantaggi dell’uso dell’intelligenza artificiale nell’astrofisica sono indiscutibili. Oltre a un’accelerazione del processo di analisi dei dati, gli algoritmi di apprendimento automatico – adeguatamente istruiti – sono in grado di studiare oggetti celesti come stelle, galassie e pianeti con una precisione sorprendente. Gli esopianeti rappresentano un esempio evidente del ruolo cruciale dell’IA, in grado di individuare nelle curve di luce delle stelle piccole variazioni che potrebbero indicare la presenza di pianeti orbitanti attorno a esse. Nell’analisi degli spettri stellari, necessari per comprendere la composizione chimica e le proprietà fisiche delle stelle e della Via Lattea, l’IA può apportare significativi miglioramenti, facilitando così i nostri progressi nel campo dell’evoluzione stellare. Anche nella previsione di eventi astronomici futuri, come l’esplosione di una supernova o il passaggio di una cometa, l’IA potrebbe fare la differenza aiutandoci a pianificare le osservazioni e le missioni spaziali. Tutta la gestione delle osservazioni astronomiche potrebbe essere ottimizzata facilmente dall’IA, programmando i telescopi in modo che scelgano automaticamente quali oggetti osservare in base alle condizioni atmosferiche e alle priorità scientifiche.
Tutto questo aumenterebbe certamente l’efficienza delle osservazioni, ma un’eccessiva automazione dei meccanismi di pianificazione delle ricerche potrebbe destare qualche legittima preoccupazione. Siamo a rischio di una dipendenza tecnologica?
Potremmo sollevare anche altre questioni insidiose come l’accesso e la sicurezza dei dati, e la questione etica dell’attribuzione delle scoperte: chi merita il riconoscimento, l’algoritmo o gli scienziati che l’hanno creato? 

A lungo termine, è possibile la compromissione delle competenze umane nell’interpretazione dei dati, in particolare di quelle anomalie che sono spesso fonte di nuove scoperte e da cui sempre la scienza trae ipotesi e conclusioni dopo un’attenta interpretazione. L’ingegno umano sarà concentrato solo sull’addestramento delle macchine, sul porre domande corrette, sul gestire le anomalie?
Siamo tenuti a fare queste riflessioni per affrontare le nuove sfide in modo responsabile e per essere sicuri che l’IA continui a svolgere un ruolo positivo nella nostra ricerca. Dobbiamo evitare che domande ben poste alle macchine possano soppiantare il nostro lavoro critico, fornendo risposte credibili in pochi secondi. 

Chi potrà dire per esempio se un articolo – anche questo articolo – sia frutto di considerazioni umane o solo della ChatGPT già ben addestrata alle nostre richieste?