Un giallo al centro della Via Lattea

Un giallo al centro della Via Lattea

(di Riccardo Ferrazzoli e Paolo Soffitta)

Una nube molecolare che sembra emettere raggi X anche se sprovvista di una sorgente per produrli. Com’è possibile? È ciò che ha scoperto il telescopio spaziale Ixpe, nato da una collaborazione tra la Nasa e l’Asi, che sta esplorando il buco nero supermassiccio Sagittarius A* in cerca di risposte.

SAGITTARIUS A*
Il buco nero al centro della Via Lattea nella prima immagine ottenuta nel 2022 dall’Event Horizon Telescope. Crediti: Eht Collaboration

C’è un giallo al centro della Via Lattea, la nostra Galassia. La scena del delitto è una regione ampia 300 anni luce nella direzione della costellazione del Sagittario, chiamata Zona Molecolare Centrale e popolata da gigantesche nubi molecolari, ammassi di gas interstellare che fanno da incubatrice per la nascita di nuove stelle. Il mistero: all’inizio degli anni Novanta si è scoperto che queste nubi molecolari fanno qualcosa che non dovrebbero fare normalmente: esse brillano di luce nei raggi X, ma non ci sono al loro interno sorgenti in grado di produrli. Che stiano riflettendo, come specchi spaziali, i raggi X prodotti da una sorgente esterna?

Se così stanno le cose, questa sorgente è nascosta o spenta, a causa della finitezza della velocità della luce. Quello che osserviamo, allora, non sarebbe altro che un’eco della luce emessa di una “lampadina” ormai spenta da pochi secoli. Ed ecco il principale indiziato: un buco nero supermassiccio addormentato nel cuore della Galassia, Sagittarius A* (Sgr A*). Oggi Sagittarius A* è “quiescente” e non emette la radiazione che un buco nero della sua massa, milioni di volte quella del nostro Sole, potrebbe produrre. Eppure potrebbe non essere stato così tranquillo in passato… 

I buchi neri supermassicci

Quasi ogni galassia contiene nel suo nucleo un buco nero supermassiccio, che si differenzia dai buchi neri stellari – nati cioè dal collasso catastrofico di una stella di massa almeno dieci volte quella del nostro Sole – perché ha masse da milioni a miliardi di volte quelle del Sole. Quando uno di questi buchi neri supermassicci accresce massa, emette una quantità di energia tale da eclissare quella della galassia stessa che li ospita. Parliamo in questi casi di nuclei galattici attivi (Agn). La nostra Via Lattea non fa eccezione, e ospita, appunto, un buco nero supermassiccio chiamato Sagittarius A*, distante da noi 25mila anni luce e con massa pari a milioni di masse solari. Ma, attualmente, Sagittarius A* non sta accrescendo materia sufficiente a generare l’energia necessaria a fare della Via Lattea un Agn. Essendo il buco nero supermassiccio più vicino a noi, studiare la storia recente di Sagittarius A* rappresenta l’opportunità ideale per avere un modello per l’evoluzione di altri mostri simili.

Nel corso degli anni sono stati fatti molti tentativi per ricostruire la curva di luce di Sagittarius A*, ossia l’energia rilasciata in funzione del tempo, utilizzando tecniche quali la variabilità spettrale e morfologica dei raggi X di queste nubi molecolari a riflessione. Tuttavia, la distanza lungo la linea di vista delle nubi molecolari non è nota con precisione, e questa è una delle principali fonti di incertezza che rende difficile dedurre il ritardo temporale dell’emissione di raggi X.

L’indagine di Ixpe

CASSIOPEA A
Ixpe consentirà agli scienziati di vedere come varia la quantità di polarizzazione attraverso i resti di supernova come Cassiopea A, che ha un diametro di circa 10 anni luce. Crediti: Nasa

Entra in scena allora l’investigatore assegnato alla “risoluzione” del caso: l’Imaging X-ray Polarimetry Explorer, Ixpe, un rivoluzionario telescopio spaziale unicamente equipaggiato per indagare questo mistero. Non si tratta però di un investigatore “privato”, perché i suoi dati sono resi pubblici subito dopo l’osservazione, e anche il software di analisi è in pubblica distribuzione dal sito della Nasa che contiene i dati di tutte le missioni di alta energia, che possono essere scaricati con facilità. Ixpe è il risultato di una collaborazione tra la Nasa e Asi e nasce da uno sviluppo pluridecennale culminato con l’invenzione di una particolare “lente‘’. Si tratta di un dispositivo inventato in Italia dagli istituti Inaf e Infn che permette per la prima volta di determinare con adeguata sensibilità la polarizzazione dei raggi X, conservando l’immagine della sorgente in osservazione. Questa lente perciò permette di ‘’mappare” la polarizzazione come fosse una carta stradale. 

Un modo indipendente per affrontare questa ambiguità è infatti fornito dalla polarimetria dei raggi X, poiché l’emissione riflessa da una sorgente illuminante compatta è polarizzata linearmente dallo scattering. Proprio come nell’ottico lo è la radiazione solare riflessa dalla superficie del mare o di un lago. L’angolo di polarizzazione è parallelo al piano di riflessione o, meglio, perpendicolare al piano contenente la direzione della sorgente illuminante esterna. Ciò significa che la rilevazione della polarizzazione da due o più sorgenti permette di individuare la posizione della sorgente che in passato illuminava le nubi molecolari.

Il grado di polarizzazione, invece, dipende dall’angolo tra la direzione di incidenza della radiazione sul piano della nube e l’osservatore, e quindi dalla posizione della nube lungo la linea di vista (questo angolo è chiamato angolo di diffusione). Quindi, in questa circostanza una misurazione della polarizzazione a raggi X si comporta come una bussola, indicando non solo la fonte esterna di illuminazione delle nubi molecolari ma anche determinando la loro distribuzione nel nucleo galattico. Questo è proprio l’esperimento svolto da Ixpe.

Un caso difficile

Sn 1006
Un resto di supernova visto da Ixpe (in viola) e
dall’osservatorio a raggi X Chandra (in rosso, verde e blu). Crediti: Nasa/Cxc/Sao/Msfc/Nanjing Univ./Ixpe/Jpl/CalTech/Spitzer/J. Schmidt

Ixpe ha osservato due volte nel 2022, nei mesi di febbraio e marzo, le nubi molecolari del “Complesso Sgr A”, le più vicine al buco nero supermassiccio. La scarsa luminosità di queste nubi ha fatto sì che fosse necessario molto tempo per acquisire la quantità di dati necessaria per avere risultati significativi, quasi un mese di puntamenti. Si è trattata infatti di una delle osservazioni più esigenti in termini di durata di tutta la missione Ixpe. 

Un’altra importante difficoltà legata a questa osservazione è che ci si aspetta che il grado di polarizzazione osservato sia molto più basso di quello reale, in quanto l’emissione polarizzata delle nubi molecolari è mescolata con l’emissione diffusa non polarizzata del plasma caldo che permea il centro Galattico. Questa diluizione rischia di far scendere il segnale sotto la soglia di rilevamento e deve essere attentamente trattata modellizzando tutte le componenti spettrali dell’emissione X. In più, dobbiamo considerare il fatto che la morfologia e luminosità delle nubi molecolari cambia nel tempo. Per questo, i dati ottenuti da Ixpe sono stati combinati con le immagini del telescopio spaziale X Chandra della Nasa acquisite quasi contemporaneamente, e confrontati con le osservazioni d’archivio del telescopio spaziale X dell’Agenzia spaziale europea (Esa) Xmm-Newton, per isolare il segnale nei raggi X riflesso e scoprirne il punto di origine esatto. Integrando il segnale di più nubi molecolari così individuate e studiandone le proprietà della polarizzazione in funzione dell’energia, il risultato è stata la misura di un angolo di polarizzazione di -48°+/11°e di un grado di polarizzazione del 31%+/-11%.

L’angolo di polarizzazione misurato è consistente con l’ipotesi che Sgr A* sia la sorgente primaria dell’illuminazione delle nubi molecolari. Infatti, per una nube situata al centro della regione di estrazione, la linea ortogonale alla direzione verso Sgr A* corrisponderebbe a un angolo di -42°. A ogni valore di grado di polarizzazione misurato corrispondono due possibili angoli di diffusione per cui il sistema è degenere: il valore più piccolo corrisponde alle nubi posizionate tra noi e la fonte primaria e quello più grande alle nubi posizionate oltre la fonte. Per un dato angolo di diffusione, si può anche calcolare l’età del brillamento (ossia, il ritardo temporale associato alla propagazione dei raggi X dalla sorgente primaria alla nube e quindi all’osservatore). 

Adottando una distanza proiettata sul cielo tra Sgr A* e le nubi pari a 25 pc (pari alla distanza tra il buco nero supermassiccio e il centro della nostra zona di estrazione nel piano celeste), le due soluzioni per l’angolo di diffusione si traducono in due valori: circa 30, e 200 anni. Se dal punto di vista matematico e delle proprietà di polarizzazione osservate, entrambe le soluzioni sono equivalenti, il brillamento “più vecchio” è più plausibile. Infatti, trent’anni fa il Centro Galattico era già sotto osservazione da parte del satellite a raggi X Advanced Satellite for Cosmology and Astrophysics (Asca): all’epoca le nubi molecolari erano brillanti, mentre Saggittarius A* no.

Non tutto ciò che brilla è oro 

ULTIMI RITOCCHI
Un ingegnere della Ball Aerospace, presso la struttura di test a Boulder Colorado, procede agli ultimi controlli su Ixpe in vista del lancio. Crediti: Ball Aerospac

L’indagine di Ixpe rappresenta quindi la prova certa che i raggi X provenienti dalle nubi molecolari sono dovuti alla riflessione di un breve, ma intenso, brillamento prodotto da, o nei pressi di, Sagittarius A*. Questi risultati possono imporre ulteriori limiti all’attività passata del Centro Galattico. I dati osservativi suggeriscono che la luminosità del brillamento a banda larga (1–100 keV) sia stata nell’intervallo da 10^39 a circa 10^44 erg s−1 (cioè paragonabile alla luminosità X delle galassie di Seyfert, una particolare classe di Agn). Un valore un milione di volte l’attuale luminosità di Sagittario A*.

Dato il vincolo di luminosità, il brillamento responsabile dell’illuminazione delle nubi molecolari può essere durato da un’ora fino a 1-2 anni. Mistero risolto? Per averne assoluta certezza, Ixpe ha osservato nuovamente il centro della Galassia nel 2023, raddoppiando il tempo di puntamento disponibile e consentendo così di ridurre le incertezze della misurazione. Le analisi dei nuovi dati, combinati con i precedenti, sono attualmente in corso.

I nuovi risultati consentiranno di migliorare la stima dell’origine temporale e dell’intensità del bagliore originale al suo apice, e di determinare il numero e la durata degli eventi che hanno illuminato le nubi molecolari. L’osservazione del centro della nostra Galassia sotto la nuova luce polarizzata vista da Ixpe gioca un ruolo chiave nel comprendere meglio la scala temporale su cui Sagittarius A* sta cambiando, e ci consente di ottenere una nuova comprensione dei processi fisici necessari per risvegliare Sagittarius A* e i suoi simili, anche solo temporaneamente, dal loro sonno inquieto.