L’universo energetico: astrofisica relativistica e delle particelle

L’universo energetico: astrofisica relativistica e delle particelle

Cosa succede alla materia in condizioni estreme, quando densità e temperatura raggiungono valori elevatissimi? Come si modifica lo spaziotempo in presenza di oggetti collassati, come stelle di neutroni o buchi neri? Cosa succede quando stelle di neutroni e buchi neri si scontrano? Come vengono accelerati i raggi cosmici e che impatto hanno sulla formazione stellare e sull’evoluzione galattica?

A buona parte di queste domande si può tentare di dare una risposta tramite l’osservazione e l’interpretazione teorica dell’emissione elettromagnetica proveniente da svariate sorgenti vicine e lontane. Tra esse troviamo oggetti compatti quali le nane bianche, le stelle di neutroni e i buchi neri di massa stellare, tutti resti di stelle morte, nonché i buchi neri supermassicci, presenti al centro di quasi tutte le galassie. Oltre a questi corpi, sia isolati sia in sistemi binari, l’astrofisica delle alte energie studia anche le esplosioni di supernova che caratterizzano le fasi finali dell’evoluzione di stelle massicce e la coalescenza degli oggetti compatti. Sebbene questi corpi emettano principalmente radiazione di alta energia (raggi X e gamma), la comprensione dei meccanismi che li governano riceve un forte impulso da campagne osservative multibanda che includono strumenti sensibili a tutte le lunghezze d’onda, tra cui anche onde radio, infrarossi e luce visibile. Inoltre, gli ultimi anni hanno testimoniato la nascita dell’astronomia multi-messaggera, basata sulla sinergia tra osservazioni di onde gravitazionali, raggi cosmici e neutrini con le più tradizionali osservazioni di emissione elettromagnetica.

L’energia dei buchi neri

Sopra: un’illustrazione del quasar 3C 279. A destra: il buco nero che si trova in NGC 300 legato indissolubilmente a una stella Wolf–Rayet, che diventerà a sua volta un buco nero.
Crediti: ESO/L. Calçada/M.Kornmesser

Tra i vari oggetti compatti, i buchi neri hanno un potere straordinario sull’immaginario collettivo. Con un’attrazione gravitazionale così grande che persino la luce non riesce a uscire, i buchi neri sono impossibilitati ad avere interazioni dirette con l’esterno. Sono presenze oscure, che devono molto del loro successo al nome evocativo coniato negli anni Sessanta, secondo alcune fonti, dal fisico John Archibald Wheeler, esperto di relatività generale. Non è un caso che, nel 2015, proprio i buchi neri siano stati protagonisti della prima rivelazione delle onde gravitazionali da parte della collaborazione Ligo-Virgo – un risultato epocale, ottenuto giusto in tempo per festeggiare il centenario della pubblicazione dell’articolo di Einstein con i fondamenti della teoria che prevede l’esistenza di queste perturbazioni dello spaziotempo. Un successo analogo ha riscosso, nel 2019, anche la prima foto di un buco nero, quello supermassiccio al centro della galassia M87. “Scattata” utilizzando radiotelescopi sparsi su tutti il pianeta dal progetto Event Horizon Telescope, a cui partecipa anche la comunità dell’Inaf, la foto è diventata immediatamente un’icona mediatica globale, come quella scattata lo scorso maggio del buco nero a noi ancora più caro, quello al centro della nostra galassia. 

Molte delle onde gravitazionali si sono generate proprio dallo scontro di due buchi neri. Ma in che modo? Le onde gravitazionali si formano quando oggetti massicci subiscono forti accelerazioni in grado di rompere ogni eventuale simmetria di tipo sferico o cilindrico preesistente. Partendo dal caso forse intuitivamente più semplice di due stelle compatte, ad esempio due stelle di neutroni, ciò che succede quando stanno per venire in contatto è che ognuna perde la propria identità e si forma una specie di “bozzolo” caotico di materia. La forma di tale bozzolo di materia in coalescenza è naturalmente molto irregolare e, cosa ancora più importante, muta rapidamente, facendo sì che le varie parti del bozzolo subiscano fortissime accelerazioni. Ricordando che le varie parti del bozzolo sono tutte molto massicce, possiamo immaginare come se ognuna fosse emettitrice di intense onde gravitazionali.

Il buco nero che si trova in NGC 300 legato indissolubilmente a una stella Wolf–Rayet, che diventerà a sua volta un buco nero. Crediti: ESO/ L. Calçada/ M.Kornmesser

L’emissione complessiva è dunque breve e intensa e cessa poco dopo che il bozzolo si è assestato in uno stato finale. Nel caso di due buchi neri, che non hanno una superficie fisica ma solo un orizzonte degli eventi, la similitudine col bozzolo di materia è molto meno intuitiva e bisogna rifarsi alle simulazioni numeriche di relatività generale, ma i concetti di base restano gli stessi. Questo meccanismo – legato a grandi masse sottoposte a intense accelerazioni – è alla base dell’emissione di onde gravitazionali anche durante le fasi precedenti la coalescenza, quando le orbite delle due stelle si stringono e quindi spiraleggiano l’una verso l’altra. L’emissione di onde gravitazionali durante questa fase avviene però a frequenze e con intensità molto più basse rispetto alla fase di coalescenza finale. A questo proposito, nell’ottobre 2021 la collaborazione Epta (European Pulsar Timing Array) ha pubblicato uno studio che riporta l’analisi di un segnale che potrebbe essere dovuto al cosiddetto fondo di onde gravitazionali, a cui gli astronomi di tutto il mondo stanno dando la caccia da tempo. Questo segnale sarebbe stato prodotto dall’energia gravitazionale rilasciata da coppie di buchi neri supermassicci durante il loro reciproco avvicinamento, che li porterà infine a fondersi. I risultati dello studio sono stati resi possibili grazie ai dati relativi alle pulsar raccolti, in ventiquattro anni di osservazioni, con cinque radiotelescopi europei di grande apertura – tra cui il Sardinia Radio Telescope (Srt) da 64 metri di diametro, situato vicino a Cagliari. 

Rilevare le onde gravitazionali con i Pta

I fasci di radiazione emessi dai poli magnetici delle pulsar – stelle di neutroni fortemente magnetizzate e in rapida rotazione – ruotano assieme alla stella, e noi li osserviamo come impulsi radio quando attraversano la nostra linea di vista, come i fasci di luce di un faro lontano. I Pulsar Timing Array (Pta) sono costituiti da una schiera di pulsar che possiedono una rotazione molto stabile, e per questa loro proprietà vengono utilizzate come rivelatori di onde gravitazionali su scala galattica. In presenza di un’onda gravitazionale, lo spaziotempo viene deformato e la regolarissima cadenza degli impulsi radio di una pulsar viene a sua volta alterata. I Pta sono sensibili a onde gravitazionali a bassissima frequenza, nel regime del miliardesimo di hertz: un’onda gravitazionale di questo tipo compie una singola oscillazione in circa 30 anni. I Pta sono dunque in grado di ampliare la finestra di osservabilità delle onde gravitazionali, al momento limitata solo alle frequenze alte (dell’ordine delle centinaia di hertz), che sono studiate dai rivelatori a terra Ligo, negli Stati Uniti, Virgo, progetto europeo situato in Italia, e Kagra, in Giappone, quest’ultimo operativo a partire dal 2020. Questi strumenti sono in grado di captare i segnali gravitazionali generati nelle collisioni di breve durata che coinvolgono buchi neri di massa stellare e stelle di neutroni, mentre i Pta possono rivelare le onde gravitazionali prodotte da coppie di buchi neri supermassicci situati nel centro delle galassie, durante il loro lento moto spiraleggiante di reciproco avvicinamento. L’effetto cumulativo dei segnali prodotti da questa popolazione di oggetti celesti estremi è, appunto, il fondo di onde gravitazionali. Come lo è stato per le onde gravitazionali di alta frequenza nel 2015, la rivelazione di onde gravitazionali di bassissima frequenza sarebbe un risultato epocale per la fisica, per l’astrofisica e per la cosmologia.

Da settembre 2015, sono un centinaio gli eventi di onde gravitazionali registrati fino al marzo del 2020 dagli interferometri della collaborazione Ligo-Virgo-Kagra: una ricchezza di osservazioni e dati sulla fisica dei buchi neri, a malapena immaginabile fino a pochi anni fa e destinata a crescere con l’inizio del nuovo run osservativo a maggio di quest’anno. E proprio ad aprile sono stati stanziati i fondi per realizzare Ligo-India, il nuovo cercatore di onde gravitazionali in India del tutto affine ai due interferometri statunitensi. Questa aggiunta contribuirà a migliorare la capacità di triangolazione delle sorgenti in cielo, aumentando di un ordine di grandezza la precisione con cui è possibile localizzare gli eventi di onde gravitazionali, e colmerà anche i punti ciechi dell’attuale rete di onde gravitazionali. Le osservazioni di eventi di coalescenza in sistemi binari forniscono dati fondamentali per comprendere la fisica degli oggetti compatti, dai processi di emissione relativistica alla determinazione delle masse coinvolte, dall’equazione di stato della materia che compone le stelle di neutroni alla nucleosintesi degli elementi pesanti.

L’impronta delle stelle di neutroni

Anche le stelle di neutroni, non solo i buchi neri, danno spettacolo. Sono tra gli oggetti più affascinanti dell’universo, nati in seguito al catastrofico processo alla fine della luminosa e frenetica vita di una stella massiccia: sfere perfette di densità inimmaginabili, con frequenze di rotazione altissime e temperature e campi magnetici estremamente elevati. Se lo scontro di due buchi neri non produce altro segnale che nelle onde gravitazionali, infatti, la coalescenza di stelle di neutroni imprime nell’universo anche tracce luminose, a tutte le frequenze dello spettro elettromagnetico. 

Lo spaziotempo si increspa attorno a una minuscola, ma incredibilmente pesante, stella di neutroni. Una nana bianca le orbita intorno. Crediti: ESO/L. Calçada

Le onde gravitazionali ed elettromagnetiche prodotte da una sorgente all’interno della galassia ellittica Ngc 4993, captate per la prima volta insieme il 17 agosto del 2017, hanno rivelato che quell’evento – siglato dagli astronomi At2017gfo – era una kilonova, ovvero l’ultimo, spettacolare atto della fusione di due stelle di neutroni. Le caratteristiche della radiazione emessa, come la sua lunghezza d’onda, la variazione della sua intensità e profilo al passare del tempo, registrate grazie alle innumerevoli osservazioni astronomiche, dalla banda radio ai raggi X e gamma, hanno permesso agli scienziati di capire moltissimi aspetti di questo fenomeno. In particolare, un team a guida Inaf ha condotto lo studio per la caratterizzazione spettroscopica della sorgente transiente ottica AT2017gfo. Questo evento ha segnato l’inizio di una nuova era per l’astronomia multi-messaggera, inaugurata trent’anni prima con l’osservazione di radiazione e neutrini dalla supernova 1987a.

È stato un team di scienziati coordinato dall’Inaf a scoprire anche Ngc 5907 Ulx, la più estrema tra le pulsar X finora conosciute: è infatti la più distante e la più luminosa tra quelle a noi note. Questo potentissimo faro cosmico è una stella di neutroni fortemente magnetizzata, che compie una rotazione completa attorno al proprio asse in appena 1,13 secondi mentre accresce materia da una stella compagna. Attorno alla pulsar i ricercatori hanno anche osservato una nebulosa che fornisce preziose informazioni su questo sistema, chiamato Ulx-1, sulle pulsar ultraluminose in generale. 

Nane bianche, stelle di neutroni e buchi neri sono tra i motori più efficienti per la produzione di radiazione X, sia nelle binarie a raggi X, coppie formate da un oggetto compatto e una stella compagna, sia nei nuclei galattici attivi, galassie nel cui centro risiede un buco nero supermassiccio che si nutre della materia circostante a ritmi elevati, dando luogo a intense emissioni su tutto lo spettro elettromagnetico. In questi oggetti compatti, la conversione di energia gravitazionale in energia radiativa avviene con un tasso di efficienza tra i più alti misurati nell’universo, tramite il fenomeno di accrescimento della materia circostante. All’accrescimento spesso si associa il fenomeno di produzione di getti radio e venti relativistici. La connessione tra la produzione di getti e venti e il fenomeno di accrescimento è una delle principali domande aperte in questo campo. Altre sorgenti di alta energia sono gli eventi esplosivi che caratterizzano alcune fasi della vita stellare, tra cui nove, supernove, lampi gamma (o Grb, acronimo di gamma ray burst), eventi di distruzione mareale e lampi radio veloci (o Frb, acronimo di fast radio burst). 

Lampi nel cosmo     

Rilevati per la prima volta nel 2007, i lampi radio veloci fanno parte dei cosiddetti fenomeni transienti cosmici, perché appaiono senza preavviso e si esauriscono nel giro di pochissimo tempo. Nel tentativo di spiegarli, gli scienziati hanno persino ipotizzato segnali provenienti da forme di vita aliena. Più probabilmente si tratta di intensi impulsi radio, della durata di pochi millesimi di secondo, emessi da magnetar, stelle di neutroni ipermagnetizzate. Una delle prove che suggeriscono un possibile collegamento tra questi oggetti altamente magnetici e alcuni tipi di lampi radio veloci è un segnale ricevuto il 28 aprile 2020, il primo lampo radio veloce rilevato nella Via Lattea, osservato in concomitanza con un lampo nei raggi X e proveniente dalla magnetar Sgr 1935+2154, registrato da diversi satelliti tra cui l’italiano Agile. 

All’altro estremo dello spettro, nonostante gli enormi sforzi osservativi, ci sono voluti ben trent’anni dalla loro scoperta negli anni Sessanta per svelare l’origine cosmologica dei Grb, lampi di fotoni X e gamma rilevati circa una volta al giorno da direzioni casuali e così intensi da oscurare qualsiasi altra sorgente nel cielo ad alte energie. Sono stati poi necessari ulteriori vent’anni di sforzi da parte di molti telescopi spaziali e terrestri, oltre a un intenso lavoro teorico e a sofisticatissime simulazioni numeriche, per costruire e consolidare lo scenario attuale che ne spiega i progenitori: il collasso del nucleo di peculiari stelle molto massicce per i lampi di durata più lunga, e la coalescenza di un sistema binario formato da due stelle di neutroni o da una stella di neutroni e un buco nero per quelli più brevi.

Lo studio di queste classi di sorgenti e dei processi fisici in gioco viene condotto attraverso la sinergia tra osservazioni e teoria, essenziale per la comprensione dei meccanismi di emissione. L’identificazione dei sistemi progenitori e dei processi di accelerazione e collimazione alla base dei lampi gamma, così come l’identificazione di eventi di riconnessione magnetica da parte delle magnetar come possibile origine dei lampi radio veloci, sono alcuni esempi recenti del successo di tale strategia. 

L’Inaf e le sorgenti di raggi X e gamma

Storicamente, la comunità dell’Inaf ha svolto un ruolo fondamentale in ambito internazionale nello studio delle sorgenti di alta energia (raggi X e gamma), partecipando alla loro scoperta, all’identificazione e comprensione dei processi fisici in gioco e contribuendo allo sviluppo tecnologico, allo sfruttamento dei dati e al successo di missioni spaziali di varie agenzie, come Swift e Fermi (Nasa), Agile (Asi), Integral e Xmm-Newton (Esa). Nel dicembre 2021, il lancio di Ixpe, satellite Nasa in collaborazione con Asi che vanta un forte contributo scientifico e tecnologico dell’Inaf, ha aperto una nuova finestra sull’universo energetico, permettendo di osservare la polarizzazione dei raggi X con risoluzione e sensibilità mai raggiunte prima, mentre la comunità lavora al prossimo grande osservatorio a raggi X: la missione Esa Athena.

Un’illustrazione di VFTS 352, la stella doppia più
calda e massiccia mai scoperta. Si trova nella
Grande Nube di Magellano a circa 160 mila anni
luce da qui. Crediti: ESO/L. Calçada

Se la radiazione ad alta energia viene assorbita dall’atmosfera terrestre, la porzione più energetica – i raggi gamma ad altissima energia – lascia una traccia caratteristica del suo passaggio nell’atmosfera stessa: la luce Cherenkov, che può essere osservata con appositi telescopi da Terra. Questo permette di osservare le sorgenti di potenti raggi gamma, dalle supernove ai Grb e i nuclei galattici attivi. In questo filone si colloca l’osservatorio Magic e il futuro Cherenkov Telescope Array (Cta), che sarà costruito tra le Isole Canarie e il Cile, a cui Inaf partecipa anche attraverso lo sviluppo del precursore Astri-Mini Array. 

Grazie alle osservazioni del satellite Xmm-Newton, un gruppo di astronomi a guida Inaf ha scoperto un vero e proprio fiume di gas che scorre dal centro della Via Lattea, dove risiede un buco nero di grande massa. Questo gas caldo fluisce verso le cosiddette Bolle di Fermi, gigantesche zone che si estendono per migliaia di anni luce a nord e a sud del piano galattico, ricche di particelle molto energetiche, scoperte nel 2010 grazie ai dati raccolti dall’osservatorio spaziale Fermi della Nasa. La scoperta chiarisce in che modo l’attività del nucleo della Via Lattea, sia presente che passata, è connessa all’esistenza di strutture più grandi attorno a essa. Il deflusso di gas ed energia individuato potrebbe essere una testimonianza del passato della nostra galassia, quando l’attività delle sue regioni centrali era molto più diffusa e potente, oppure potrebbe dimostrare che anche le galassie “non attive” – ovvero ​​quelle che ospitano un buco nero supermassiccio relativamente quieto e mostrano una moderata attività di formazione stellare, come la Via Lattea odierna – possono comunque produrre enormi flussi di massa ed energia.

Caccia agli assioni

A parte l’universo inquieto descritto finora, poche cose in astrofisica stuzzicano e necessitano di fantasia come la materia oscura, anche se in questo caso fantasia è più che altro un sinonimo di ingegno: la capacità di inventare soluzioni fuori dagli schemi per risolvere un problema che negli schemi non si fa trovare. In questo contesto, gli scienziati dell’Inaf lavorano alla ricerca della elusiva materia oscura mediante la rivelazione di possibili candidati particellari. In particolare, gli assioni – particelle elementari la cui esistenza è ancora ipotetica – sono attualmente considerati tra i principali contendenti al ruolo di componenti della materia oscura. 

Mentre molti scienziati stanno dando loro la caccia sulla Terra, gli astrofisici guardano (anche) il cielo, poiché prevedono che queste particelle siano prodotte all’interno di ambienti estremi, come i nuclei delle stelle che stanno per esplodere in supernove. Gli assioni generati da queste stelle, incontrando un campo magnetico, dovrebbero infatti trasformarsi in fotoni, più facilmente rilevabili: potrebbero addirittura essere gli assioni la sorgente di emissione X ad alta energia che circonda alcune stelle di neutroni. 

In generale, la possibilità che un qualunque plasma caldo – quindi in particolare le stelle – possa produrre assioni è prevista in maniera molto naturale da tutte le teorie proposte per superare i limiti del modello standard della fisica delle particelle. Più in generale si parla di Alps, che sono axion like particles, una generalizzazione della teoria originale degli assioni proveniente dalla branca della cromodinamica quantistica. C’è una forte motivazione teorica nel predire l’esistenza di assioni e un grosso interesse nel trovarli, perché se sono di massa molto piccola potrebbero essere naturalmente prodotti durante l’inflazione, il brevissimo periodo di espansione accelerata che avrebbe caratterizzato i primissimi istanti dell’universo, o forse ancora prima. Proprio in virtù di questa massa particolarmente piccola, oltre al fatto di essere bosoni – una delle due classi di particelle elementari – gli assioni possono condensare molto rapidamente in quello che si chiama gas di Bose-Einstein e avrebbero tutte le caratteristiche di una materia oscura fredda (cold dark matter), il tipo attualmente più quotato nei modelli cosmologici.

Fino a una decina di anni fa molti fisici avrebbero scommesso che la materia oscura fosse fatta da particelle massicce e debolmente interagenti, i cosiddetti Wimp (weakly interacting massive particle). Ma sebbene l’acceleratore di particelle Lhc del Cern sia stato potenziato e abbia cercato fino a energie oltre il TeV, non ha trovato nulla. Non è escluso che ci siano particelle con masse ancora maggiori, ma questa situazione ha comunque generato dubbi sulla loro esistenza e soprattutto ha introdotto una certa delusione nei fisici teorici che si sono rivolti altrove per cercare le componenti della materia oscura. Gli assioni sono da tempo considerati un’ottima alternativa. I grandi acceleratori, come Lhc, sono stati concepiti per cercare particelle massicce, come il bosone di Higgs o il neutralino, ma non sono adatti per cercare piccole particelle che interagiscono molto debolmente. Al contrario, le stelle sono degli ottimi laboratori naturali per scovarle e studiarle.