Curiosità dallo spazio
Perseverance trova una potenziale biofirma

Un campione raccolto dal rover Perseverance della Nasa, da un antico letto fluviale prosciugato nel cratere Jezero, potrebbe conservare tracce di antica vita microbica su Marte. A dirlo è un gruppo di ricerca (del quale fa parte anche Teresa Fornaro dell’Istituto nazionale di astrofisica) che, in un articolo pubblicato sulla rivista Nature, descrive la scoperta. Gli autori dello studio hanno condotto un’analisi dettagliata del campione, chiamato Sapphire Canyon. È stato prelevato lo scorso anno dalla roccia denominata Cheyava Falls, nella quale il rover si era imbattuto mentre esplorava la formazione Bright Angel, una serie di affioramenti rocciosi sui bordi settentrionali e meridionali della Neretva Vallis, un’antica valle fluviale. L’analisi condotta in situ ha consentito di identificare, in alcune chiazze colorate presenti sulla roccia, la firma di due minerali ricchi di ferro: la vivianite e la greigite. Questi due minerali sono presenti anche sul nostro pianeta: la vivianite si trova spesso nei sedimenti, nelle torbiere e intorno alla materia organica in decomposizione; allo stesso modo, alcuni microrganismi possono produrre greigite.
Contare gli anni di Giove con le condrule

meteorite Allende al microscopio. Crediti: Akira Miyake, Università di Kyoto
Un nuovo studio guidato da ricercatori dell’Inaf e dell’Università di Nagoya (in Giappone) ha dimostrato che la nascita di Giove ha innescato la formazione delle condrule nei meteoriti, permettendo così di stabilire che il massiccio pianeta si è formato 1,8 milioni di anni dopo l’inizio del Sistema solare. Quattro miliardi e mezzo di anni fa, Giove crebbe rapidamente fino a diventare il pianeta più grande del Sistema solare. La sua forte attrazione gravitazionale sconvolse le orbite di piccoli corpi rocciosi e ghiacciati, noti come planetesimi. Queste perturbazioni provocarono drammatiche collisioni, capaci di fondere le rocce e le polveri contenute in questi “piccoli” oggetti celesti. Il materiale fuso si frammentò in goccioline incandescenti di silicato – le condrule (o condri) – che oggi troviamo conservate nei meteoriti. Recentemente, due ricercatori hanno per la prima volta chiarito nel dettaglio il processo della loro formazione e, grazie a ciò, sono riusciti a datare con precisione la nascita di Giove. Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, mostra che alcune caratteristiche delle condrule sono spiegabili grazie all’acqua contenuta nei planetesimi impattanti. Questo risultato dimostra che la formazione delle condrule è stata una conseguenza diretta della nascita dei pianeti.
Tesoro, mi si sta restringendo il pianeta!

Secondo un nuovo studio condotto grazie ai dati dell’Osservatorio a raggi X Chandra della Nasa, un pianeta appena nato si starebbe rapidamente rimpicciolendo, passando da dimensioni paragonabili a quelle di Giove (con una densa atmosfera) a un piccolo mondo sterile. Questa trasformazione sta avvenendo perché la stella madre attorno a cui orbita (una nana rossa a circa 330 anni luce dalla Terra) emette forti raffiche di raggi X, che stanno spazzando via la sua atmosfera a un ritmo impressionante. Parliamo di Toi 1227 b, un giovanissimo esopianeta di circa 8 milioni di anni che si trova molto vicino alla sua stella, a meno di un quinto della distanza di Mercurio dal Sole. Di questo passo, il pianeta perderà completamente la sua atmosfera entro circa un miliardo di anni. A quel punto, avrà perso una massa pari a circa due masse terrestri delle circa 17 attuali (come Nettuno, quindi, anche se il suo diametro è più simile a quello di Giove). In particolare, gli esperti stimano che il pianeta stia perdendo una massa equivalente a un’intera atmosfera terrestre circa ogni 200 anni. Toi 1227 b è il secondo pianeta più giovane mai osservato transitare davanti alla sua stella. I dettagli su The Astrophysical Journal.
Partner e progetti dell’Inaf
L’Italia all’Expo 2025 di Osaka con Galileo

Discoveries, the Trial presentato al Padiglione Italia di Expo 2025 Osaka. Crediti: Museo Galileo, Vis
Lo scorso settembre, l’Inaf, il Museo Galileo e Vis – Virtual Immersions in Science, in collaborazione con l’Office for Astronomy Outreach e l’Italian Office of Astronomy for Education dell’Unione astronomica internazionale, hanno presentato Galileo’s Legacy, il progetto di didattica e divulgazione astronomica che è stato protagonista al padiglione Italia all’Expo 2025 di Osaka. Promossa dalla Direzione scientifica dell’Inaf, Galileo’s Legacy è un’iniziativa che intende valorizzare la figura e l’eredità di Galileo Galilei, padre del metodo scientifico, attraverso il linguaggio universale della scienza e delle tecnologie immersive. Organizzato nell’ambito della Settimana italiana dell’Expo, l’evento ha previsto tre momenti principali. Due classi di studenti liceali giapponesi hanno ripercorso le osservazioni solari di Galileo utilizzando strumenti moderni e un approccio critico e sperimentale, per poi vivere un’esperienza immersiva con un video a 360 gradi in realtà virtuale, che racconta i momenti salienti della vita del celebre scienziato pisano. L’iniziativa si è conclusa con una tavola rotonda internazionale aperta al pubblico del Padiglione Italia, con la partecipazione di scienziati, divulgatori e rappresentanti istituzionali provenienti da diversi paesi.
L’inatteso voltafaccia in polarizzazione di M87*

La collaborazione Event Horizon Telescope (Eht), che vede impegnati ricercatori dell’Inaf, dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e dell’Università Federico II di Napoli, ha presentato nuove, dettagliate immagini del buco nero supermassiccio al centro della galassia M87*. Queste hanno rivelato un ambiente dinamico, con configurazioni di polarizzazione variabili vicino al buco nero. Per la prima volta, sono stati individuati inoltre i segnali dell’emissione estesa del getto in prossimità della sua base, collegata all’anello attorno a M87*. Le osservazioni, pubblicate su Astronomy & Astrophysics, forniscono nuove prospettive su come materia ed energia si comportino negli ambienti estremi che circondano i buchi neri. «Per garantire la solidità dei risultati, abbiamo utilizzato diverse tecniche di ricostruzione dell’immagine, del tutto indipendenti tra loro», commenta Rocco Lico, ricercatore dell’Inaf e information technology officer dell’Eht. «Per raggiungere questi nuovi traguardi è stato anche necessario sviluppare nuovi strumenti di analisi». I risultati confermano la previsione teorica pubblicata nel 2023 secondo cui l’emissione polarizzata osservata sarebbe generata dall’interazione tra il vento della pulsar e la materia del disco di accrescimento.
Il segreto di una pulsar svelato da Ixpe

Un team internazionale guidato dall’Inaf ha individuato nuove prove su come le pulsar al millisecondo transizionali, una particolare classe di resti stellari, interagiscono con la materia circostante. Il risultato, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, è stato ottenuto grazie a osservazioni effettuate con l’Imaging X-ray Polarimetry Explorer (Ixpe) della Nasa, il Very Large Telescope (Vlt) dell’European Southern Observatory (Eso) in Cile e il Karl G. Jansky Very Large Array (Vla) nel New Mexico. Si tratta di una delle prime campagne osservative di polarimetria multi-banda mai realizzate su una sorgente binaria a raggi X, coprendo simultaneamente le bande X, ottica e radio. La sorgente analizzata è Psr J1023+0038. «Le pulsar al millisecondo transizionali sono laboratori cosmici che ci aiutano a capire come le stelle di neutroni evolvono nei sistemi binari», spiega Maria Cristina Baglio, ricercatrice dell’Inaf e prima autrice dello studio. Per la prima volta, gli esperti hanno misurato simultaneamente la polarizzazione della luce emessa da questa sorgente in tre bande dello spettro elettromagnetico. In particolare, Ixpe ha rilevato un livello di polarizzazione nei raggi X di circa il 12%, il più elevato mai osservato finora in un sistema binario come quello di J1023.
Grandi scoperte recenti
Pianeta di acqua svelato dai cieli delle Canarie

Sono state determinate la massa e la densità del pianeta Kepler-10c con una precisione e un’accuratezza senza precedenti. Grazie a circa 300 misure di velocità radiale raccolte con lo spettrografo Harps-N installato al Telescopio nazionale Galileo (Tng) alle Isole Canarie, un team internazionale guidato da ricercatori dell’Inaf ha stimato la sua composizione, arrivando alla conclusione che probabilmente Kepler-10c è un water world, ovvero un pianeta con gran parte della sua massa in acqua allo stato solido (ghiaccio) e forse, in piccola percentuale, anche liquido. I ricercatori ritengono che il pianeta si sia formato oltre la cosiddetta linea di condensazione dell’acqua a circa due o tre unità astronomiche dalla sua stella, e che poi si sia progressivamente avvicinato fino alla sua attuale orbita. Kepler-10 ospita Kepler-10b, la prima super-Terra rocciosa scoperta dalla missione spaziale Kepler della Nasa con un periodo orbitale inferiore al giorno terrestre, e Kepler-10c, un pianeta con un periodo orbitale di 45 giorni, classificato come sub-Nettuno, ovvero un pianeta con raggio e massa inferiori a quelli di Nettuno. Per anni, Kepler-10c è stato oggetto di grande incertezza: stime discordanti avevano reso difficile capire di cosa fosse fatto. I nuovi risultati sono stati riportati su Astronomy & Astrophysics.
Il risveglio del buco nero

Un buco nero supermassiccio al centro di una galassia situata a 300 milioni di anni luce dalla Terra ha recentemente iniziato a rilasciare intensi e regolari lampi di raggi X, attirando l’attenzione degli astrofisici. Dopo decenni di inattività, questo colosso si è improvvisamente “risvegliato”, dando vita a un fenomeno raro che offre una straordinaria opportunità per studiare il comportamento di un buco nero in tempo reale. L’osservazione di questi lampi, resa possibile grazie al telescopio spaziale Xmm-Newton dell’Agenzia spaziale europea, ha portato a scoperte senza precedenti sugli eventi energetici generati dai buchi neri supermassicci. Ansky (così è stato soprannominato il buco nero), rimasto inattivo per decenni al centro della galassia Sdss1335+0728, si è “riacceso” nel 2019, emettendo spettacolari lampi di raggi X. Dal 2024 gli astronomi osservano eruzioni quasi periodiche con i telescopi spaziali, un evento rarissimo mai visto prima in un buco nero risvegliato. Questa scoperta offre l’occasione unica di studiare in tempo reale il comportamento di questi oggetti estremi. I risultati del lavoro condotto da un team di ricercatori internazionali, di cui fa parte anche l’Inaf, sono stati pubblicati sulla rivista Nature Astronomy.
Tre freddi pianeti nel deserto dei nettuniani

Un team internazionale guidato da Inaf e dall’Università di Roma Tor Vergata ha confermato tre nuovi esopianeti della categoria dei nettuniani caldi, pianeti simili a Urano e Nettuno ma con orbite strettissime attorno alle loro stelle. Le scoperte, frutto del programma Hot Neptune Initiative (Honei), combinano i dati del telescopio spaziale Tess con le misure di alta precisione degli spettrografi Harps (Eso, in Cile) e Harps-N (Telescopio nazionale Galileo, alle Canarie). Tra i tre pianeti spicca Toi-5800 b, il nettuniano più eccentrico mai osservato nel cosiddetto deserto dei nettuniani caldi, una regione dello spazio povera di pianeti di questo tipo a causa di fenomeni come migrazione orbitale, evaporazione atmosferica o interazioni gravitazionali. Toi-5817 b, con un’orbita più ampia (15,6 giorni), è ideale per studi atmosferici grazie alla luminosità della stella ospite, mentre Toi-5795 b è un super-Nettuno che orbita intorno a una stella povera di metalli in 6,14 giorni. Questi risultati pongono basi solide per lo studio futuro delle atmosfere planetarie con il James Webb Space Telescope e con i telescopi terrestri di nuova generazione come l’Extremely Large Telescope, contribuendo a chiarire la diversità dei sistemi planetari e l’evoluzione del Sistema solare.
Premi, nomine & elezioni
Premiati in Cina gli studi sulla “doppia pulsar”

Per il secondo anno consecutivo, le ricerche sulle stelle pulsar si sono rivelate meritevoli del premio Frontiers of Physics Award, uno dei riconoscimenti assegnati ogni anno dall’International Congress of Basic Science (Icbs), un congresso internazionale dedicato a matematica, fisica e scienze dell’informazione che si tiene a Pechino, in Cina. Dopo i risultati ottenuti dalla collaborazione Pulsar Timing Array nel 2024, questa volta il riconoscimento è andato a un complesso studio a guida tedesca avente come oggetto la celebre doppia pulsar, la prima coppia di pulsar mai rilevata: Psr J0737-3039, scoperta dall’astrofisica dell’Inaf Marta Burgay all’interno del gruppo di ricerca di Nichi d’Amico e Andrea Possenti. Il lavoro di ricerca premiato, condotto da Michael Kramer del Max Planck Institute for Radio Astronomy di Bonn, in Germania, porta alla luce effetti di natura gravitazionale mai osservati in precedenza, almeno non con altrettanta evidenza. L’articolo che lo descrive, intitolato “Strong-Field Gravity Tests with the Double Pulsar”, è stato pubblicato sulla rivista Physical Review X alla fine del 2021.
Premiata l’eccellenza italiana di Ixpe

Il premio internazionale Antonio Feltrinelli per le scienze fisiche, matematiche e naturali, destinato all’astronomia, è stato conferito ai fisici Ronaldo Bellazzini dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, Enrico Costa dell’Inaf e Martin Weisskopf della Nasa, per il loro straordinario contributo alla realizzazione e al successo della missione spaziale Imaging X-ray Polarimetry Explorer (Ixpe), lanciata nel 2021 e tuttora operativa. Il premio è stato consegnato lo scorso giugno dall’Accademia nazionale dei Lincei, la più antica accademia scientifica del mondo (1603), alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La missione Ixpe rappresenta un traguardo storico per l’astrofisica contemporanea perché ha permesso, per la prima volta, l’osservazione sistematica della polarimetria X di sorgenti cosmiche con sensibilità, risoluzione spaziale e capacità di analisi senza precedenti. Ixpe è una delle missioni più avanzate mai realizzate nel campo dell’astrofisica delle alte energie, sintesi di decenni di lavoro nel perfezionamento di ottiche a incidenza radente e di rivelatori innovativi.
Tre bronzi per l’Italia alle Ioaa 2025

apertura delle Olimpiadi internazionali di astronomia e astrofisica a Mumbai, in India. Crediti: Marco Citossi/Inaf
Ottimo debutto per la squadra italiana nella categoria Senior e Master delle International Olympiad on Astronomy and Astrophysics (Ioaa) 2025, svoltesi lo scorso agosto a Mumbai, in India. Alla loro prima partecipazione in questa sezione della competizione, gli studenti azzurri hanno conquistato tre medaglie di bronzo: Riccardo Brunetta (Pordenone) e Andrea Cusimano (Roma) per la categoria Master e Francesco Leccese (Lecce) per la categoria Senior. La squadra, composta da cinque giovani, era guidata da Marco Citossi (Inaf Trieste) e Benedetta Dalla Barba (Inaf Brera). L’edizione indiana delle Olimpiadi, organizzata dall’Homi Bhabha Centre for Science Education del Tata Institute of Fundamental Research, ha visto un numero record di oltre 320 partecipanti da 64 paesi. Le Ioaa, nate nel 2007 su iniziativa di Thailandia e Indonesia e oggi presiedute dal professor Aniket Sule, propongono ogni anno due eventi: uno per studenti dai 16 ai 20 anni e uno dedicato ai più giovani (Ioaa Junior).
