Nell’universo ci sono fenomeni che durano pochissimo, da una frazione di secondo fino a qualche settimana. Sono detti transienti, come nel caso dei gamma ray bursts o dei fast radio bursts, e sono tutt’altro che insignificanti. La loro scoperta e il loro studio costituiscono ulteriori passi per indagare l’evoluzione dell’universo.
Dalla scoperta della prima supernova nel 1054, che rimase visibile a occhio nudo anche di giorno per qualche settimana, a quella dei lampi gamma nel secolo scorso, fonti di radiazioni così potenti da influenzare l’atmosfera della Terra, l’universo ci ha mostrato la sua natura in costante evoluzione. I fenomeni che portano a questi violenti episodi possono essere di diversa natura e manifestarsi in più sfaccettature. L’avvento dei radiotelescopi nel secolo scorso ha permesso di aprire una nuova finestra sull’universo tramite l’osservazione delle onde radio, e le scoperte non hanno tardato ad arrivare. Nel 1967, Jocelyn Bell era una studentessa di dottorato a Cambridge quando, durante una notte di osservazione con il radiotelescopio Lovell (uno dei primi giganti da 60 metri di diametro a essere rivolti verso il cielo) si accorse di un segnale pulsato, che si ripeteva ogni 1,337 secondi. L’incredulità iniziale lasciò spazio alla certezza di una nuova scoperta quando altri simili segnali furono ricevuti da altre regioni del cielo, confermandone l’origine naturale. Le responsabili, come fu acclarato in seguito, erano le stelle di neutroni che Walter Baade e Fritz Zwicky nel 1934 ipotizzarono fossero nate da un nucleo compatto e in rapida rotazione superstite dell’esplosione di una supernova. Grazie al loro forte campo magnetico, sono infatti in grado di produrre un segnale pulsato simile a un “radio faro”, e quindi denominate pulsar (pulsating star). Da allora, le tecniche osservative e di elaborazione dati, insieme all’aumento esponenziale della velocità di calcolo dei processori, hanno permesso di affinare la strategia di esplorazione dell’universo per lo studio dei fenomeni transienti, ovvero che durano da qualche millisecondo a qualche settimana. Tra i più recenti sviluppi ricordiamo la rivelazione delle onde gravitazionali, che ha permesso di stabilire un nesso tra i lampi gamma brevi minori di 2 secondi e la fusione di due stelle di neutroni. La conseguente perturbazione dello spaziotempo, simile a onde prodotte da un sasso in uno stagno, è stata rivelata per la prima volta nel 2015.

Una rottura nella crosta di una stella di neutroni altamente magnetizzata può innescare eruzioni ad alta energia.
Crediti: Nasa/Goddard/Wiessinger
UN MISTERIOSO LAMPO RADIO
Sulla scia della scoperta delle pulsar di Jocelyn Bell, la comunità astronomica diede inizio alla catalogazione e studio di questa nuova classe di oggetti celesti. Nel 2007, Duncan Lorimer e Ash Narkevic, durante l’analisi di dati da archivio del radiotelescopio Parkes alla ricerca di pulsar, trovarono un lampo radio di intensità più di 10 volte maggiore di quella delle pulsar conosciute, e proveniente da centinaia di Mpc di distanza, quindi da una galassia diversa dalla Via Lattea. Era l’inizio di una nuova era per lo studio dei transienti. L’origine di questi lampi radio, denominati fast radio bursts (Frb), che non sembravano avere una controparte in altre bande dello spettro elettromagnetico osservabile con i telescopi, era ed è ancora oggi incerta.
Un grosso passo avanti fu possibile nel 2016, quando per la prima volta un Frb mostrò una riattivazione. Ciò permise di puntare per la prima volta nella sua direzione un interferometro, ovvero una serie di antenne radio che osservano in sincrono, simulandone una molto più grande e con maggiore risoluzione angolare. Fu così possibile localizzare l’Frb all’interno della sua galassia ospite, ovvero una galassia nana ad alto tasso di formazione stellare. Oltre a confermare l’origine extragalattica degli Frb, ciò fornì anche indicazioni sulla possibile corrispondenza tra FRB e la popolazione di giovani stelle di neutroni.
Con l’avvento del telescopio canadese Chime nel 2018, dedicato allo studio di questo nuovo fenomeno, il numero di Frb è cresciuto a un tasso sempre maggiore, fino ad arrivare agli attuali 900 conosciuti. Tra questi, più di 50 sono ripetitori, ovvero presentano periodi di riattivazione distanti alcuni mesi tra loro, e più di 100 sono stati localizzati all’interno della propria galassia. L’incremento del numero di Frb conosciuti sta permettendo per la prima volta uno studio statistico delle loro proprietà, avvicinandoci così alla comprensione della loro origine.

Sono giovani stelle di neutroni con un campo magnetico ultraintenso, un miliardo di volte più intenso di quello terrestre. Crediti: Eso/L.Calçada.
LA PRIMA MAGNETAR GALATTICA
Nel 2020, è stata una magnetar nella nostra galassia a fornire per la prima volta l’opportunità di osservare un burst in diverse bande dello spettro elettromagnetico. SGR 1935+2154, già scoperta nel 2014 in banda X dal satellite Swift e associata al supernova remnant G57.2+0.8 a 30.000 anni luce dalla Terra, si è improvvisamente riattivata emettendo burst in banda hard-X. I satelliti Agile e Integral, che hanno prontamente osservato la sorgente, hanno potuto stabilire che i burst sono stati prodotti solamente 6 millisecondi dopo il lampo radio misurato da Chime nella stessa direzione, stabilendo così per la prima volta una connessione diretta tra magnetar e Frb. Questo ha aperto la strada alla ricerca dell’emissione multi-banda degli Frb, che oggi può contare su nuovi strumenti come il satellite Einstein Probe.

Illustrazione di HD 45166, una stella massiccia di cui è stato recentemente scoperto il potente campo magnetico, il più intenso mai osservato in una stella massiccia. Crediti: Eso/L. Calçada
NUOVE TESSERE PER IL PUZZLE
Due delle vie battute per svelare il mistero degli Frb mirano alla scoperta di emissione di burst in altre bande dello spettro elettromagnetico, dall’ottico ai raggi gamma, e all’identificazione di una sorgente persistente che possa rappresentare il “residuo” che segue la creazione della sorgente dei burst e che possa permanere per giorni o anni. Per molti versi questa è stata la via battuta dal satellite italiano BeppoSax per svelare un fenomeno per molti versi analogo agli Frb, ovvero i lampi gamma: la scoperta dell’afterglow, quindi di una sorgente molto più flebile del lampo gamma ma che continuava a emettere per lungo tempo, dai raggi X fino al radio, ha permesso di chiarirne l’origine. Per gli Frb siamo a metà strada, ma le prospettive sembrano rosee. Mentre, al momento, non abbiamo ancora trovato nessuna sorgente associata a Frb in altre lunghezze d’onda, osservazioni molto sensibili con i radiotelescopi hanno scoperto in questi ultimi anni la presenza di una sorgente radio persistente in diversi Frb, il residuo della formazione del Frb.
Una terza via ricorda il lavoro degli investigatori e mira a raccogliere degli indizi sulla natura di questi oggetti, per esempio sull’ambiente in cui gli Frb sono collocati. In molti casi, ad esempio, abbiamo scoperto che gli Frb risiedono in galassie giovani, che stanno formando stelle e la loro posizione all’interno della galassia ospite è coincidente con regioni in cui si stanno formando nuove stelle. Questi indizi ci portano pertanto ad associare gli Frb con stelle massicce e giovani che, alla fine della loro vita, esplodono, formando una stella di neutroni rotante e altamente magnetizzata (la suddetta magnetar) che alimenta, tramite la sua velocissima rotazione, sia l’emissione dei burst radio sia la formazione di una nebula magnetizzata al suo intorno. La nebula a sua volta produce, tramite emissione di radiazione radio prodotta da elettroni energetici che spiraleggiano nel campo magnetico, la sorgente radio persistente.

Illustrazione di una magnetar, circondata dalla nebulosa responsabile dell’emissione radio continua associata ad alcuni Fast Radio Burst. Crediti: Nsf/Aui/Nrao/S. Dagnello
BOLLE DI PLASMA
Proprio questa nebula, che possiamo immaginare come una bolla di plasma circostante la magnetar, è stata oggetto di studio nel lavoro di un gruppo di ricercatori dell’Inaf-Iaps di Roma. Il Frb 20201124A, scoperto nel 2020 e successivamente riattivatosi nel 2021, ha attratto l’attenzione quando i radiotelescopi Vla e Gmrt ne hanno misurato la controparte persistente. Successive osservazioni a più alta risoluzione sembravano smentire l’associazione con l’Frb, quando, nel 2022, osservazioni Vla a frequenze più alte delle precedenti (10-20 GHz) hanno potuto confermare la presenza di una debole sorgente puntiforme nella posizione dell’Frb. A dare manforte al Vla, e a confermare la natura di nebula, Noema e GtcC (l’osservatorio millimetrico sulle alpi francesi e il telescopio ottico spagnolo situato alle Canarie) hanno raccolto dati sotto la guida dei ricercatori dell’Inaf per verificare il tasso di formazione stellare nella regione circostante. In questo modo, è stato possibile verificare che la flebile emissione non proveniva da una regione diffusa, ma dagli immediati dintorni dell’Frb. Da un punto di vista teorico, negli anni precedenti erano stati proposti modelli per descrivere la nebula possibilmente associata all’emissione persistente degli Frb, tra cui uno della Yunnan University in Cina, che proponeva un nesso tra la rotazione di Faraday (ovvero una quantità che indica il prodotto tra intensità di campo magnetico e abbondanza di elettroni in un ambiente astrofisico) e la luminosità della nebula stessa nel radio. Grazie alla misura dell’emissione persistente di FRB20201124A, è stato possibile ampliare l’intervallo esplorato, testando così il modello su intervallo di quasi tre ordini di grandezza, e confermando l’origine nebulare dell’emissione stessa.
In seguito a questo lavoro, pubblicato su Nature nel 2024, lo stesso gruppo di ricercatori ha seguito una seconda possibile nebula detectata nella regione del FRB20240114A dai telescopi MeerKat e uGMRT. A seguito di queste osservazioni alla risoluzione di qualche arcosecondo, nell’autunno 2024 la rete di telescopi americani Vlba – una rete di 10 parabole sparse tra Nord America, Hawaii e Isole Vergini – è stata infatti impiegata per raggiungere la risoluzione angolare di qualche milliarcosecondo e verificare così la presenza della nebula. La debole emissione è stata osservata alla frequenza di 5 GHz, su una scala inferiore ai 4 parsec. Questa quarta nebula ha permesso così di raffinare ulteriormente il modello proposto. Ulteriori dati in banda ottica raccolti con il telescopio Lbt hanno poi permesso di verificare che anche la galassia ospite di questo Frb ha un forte tasso di formazione stellare, in accordo con le aspettative collegate alle magnetar.

Illustrazione di una magnetar che espelle materia nello spazio. Il campo magnetico della stella, in verde, influenza il flusso di materia emessa dall’oggetto. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech
IL FUTURO
Siamo oggi a un punto di svolta per lo studio degli Frb. I nuovi telescopi Chime Outriggers e Dsa-2000 permetteranno di identificare migliaia di Frb all’interno della loro galassia ospite, rivoluzionando così lo studio di questo fenomeno. Saranno possibili ulteriori osservazioni per svelare la presenza di una nebula, aumentando così il censimento di questi oggetti, e avvicinandoci a svelarne il mistero. L’Inaf, con il progetto next-generation Croce del Nord, sta effettuando l’upgrade dei telescopi di Medicina e Noto per lo studio degli Frb, e contribuendo a sviluppare la tecnologia d’avanguardia che sarà utilizzata per il telescopio Chord. Siamo quindi all’alba di una nuova era per lo studio dei fenomeni transienti in banda radio, e come sempre quando si apre una nuova finestra sull’universo, la probabilità di scoprire nuova fisica è alta.