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Curiosità dallo spazio

Gli ingredienti per un’insalata spaziale

L’insalata spaziale ideale è composta da sette ingredienti: soia, semi di papavero, orzo, cavolo riccio, arachidi, semi di girasole e patate dolci. Crediti: Pexels

Un team di ricerca internazionale ha pubblicato su Acs Food Science & Technology la ricetta per il pasto spaziale ottimale: una ricca insalata vegetariana. Per progettarlo, gli scienziati hanno scelto ingredienti freschi, coltivabili nello spazio e che rispondano alle esigenze nutrizionali specifiche degli astronauti. Inizialmente, i ricercatori hanno valutato le differenti combinazioni di ingredienti freschi, utilizzando il metodo della programmazione lineare, per bilanciare più variabili al fine di raggiungere un obiettivo specifico. Tra i dieci scenari, o “piatti spaziali”, proposti – quattro vegetariani e sei onnivori, ciascuno con un numero di ingredienti compreso tra sei e otto – i ricercatori hanno scoperto che un pasto vegetariano composto da soia, semi di papavero, orzo, cavolo riccio, arachidi, patate dolci e semi di girasole offriva l’equilibrio più efficiente tra il massimo dei nutrienti e il minimo degli input agricoli. Questa combinazione non è in grado di fornire tutti i micronutrienti di cui un astronauta ha bisogno, ma quelli mancanti potrebbero essere aggiunti da un integratore.


Microgravità: lo spazio fa venire il mal di testa

Esiste una correlazione fra permanenza nello Spazio e insorgenza ripetuta del mal di testa. Crediti: Pexels

Soffrite di mal d’auto o mal di mare? Pensate agli astronauti, alcuni soffrono di mal di spazio! La causa, in questo caso, è l’assenza di gravità – o meglio, la microgravità – ma i sintomi sono molto simili: nausea, vomito, vertigini e mal di testa. Di solito migliora in due o tre giorni, insomma, man mano che il corpo si adatta alla permanenza in orbita. Alcuni di questi sintomi, però, possono diventare persistenti durante i soggiorni spaziali lunghi. Come il mal di testa. Un gruppo di ricercatori olandesi ha condotto un’indagine su 24 astronauti di varie agenzie spaziali, trovando una correlazione fra permanenza nello spazio e insorgenza ripetuta del sintomo. In totale, 22 astronauti hanno riportato uno o più episodi di mal di testa durante il loro periodo di permanenza nello spazio. Perlopiù, gli intervistati manifestavano mal di testa di tipo tensivo, mentre dolori di tipo emicranico comparivano generalmente solo durante la prima settimana. Secondo i dati riportati nello studio, questi sintomi possono manifestarsi anche in un secondo momento, durante il volo spaziale. Ma tranquilli: nei tre mesi successivi al rientro sulla Terra nessuno degli astronauti ne ha sofferto. 


Il primo lander privato sulla Luna

Il lander lunare Odysseus IM-1 Nova-C di Intuitive Machines prima del lancio al Nasa Marshall Space Flight Center. Crediti: Nasa/Intuitive Machines

Si chiama Odysseus il primo lander privato a essersi posato sulla superficie della Luna. Lanciato il 15 febbraio scorso da Cape Canaveral con un razzo Falcon 9 di SpaceX, Odysseus è entrato nell’orbita lunare il 21 febbraio, dopo aver percorso un milione di chilometri. La manovra di allunaggio, il 23 febbraio, si è svolta come previsto, ma ci sono stati momenti di tensione perché non si riusciva a ricevere il segnale. La missione Im-1 ha raggiunto però il suo obiettivo; una prima assoluta nella storia dell’era spaziale, che segna anche il ritorno di un veicolo americano sulla Luna a 52 anni dall’ultima missione del programma Apollo. Odysseus, della Intuitive Machines – dopo i fallimenti del lander Peregrine lo scorso gennaio, dei lander da Hakuto-R M1 nel 2023 e di Beresheet nel 2019 – porta a casa un successo che dà nuova speranza a chi vorrà avventurarsi nei viaggi lunari,. L’obiettivo di Odysseus è stato, per 10 giorni, lo studio dell’ambiente lunare, affinché la Nasa possa riportarvi una missione con equipaggio alla fine del 2026. Il luogo di allunaggio è a circa 300 chilometri dal polo sud della Luna, considerato interessante perché vi si trova acqua ghiacciata (risorsa considerevolmente importante per future missioni con equipaggio umano).

Partner e progetti dell’Inaf


Il “nostro” buco nero in luce polarizzata

La prima immagine in luce polarizzata del buco nero supermassiccio Sagittarius A* al centro della Via Lattea. Crediti: Eht Collaboration/ Eso

La collaborazione scientifica Event Horizon Telescope (Eht), che ha prodotto la prima immagine in assoluto del buco nero al centro della Via Lattea rilasciata nel 2022, ha realizzato anche la prima immagine in luce polarizzata del buco nero supermassiccio Sagittarius A* (Sgr A*). Questa nuova immagine ha svelato la presenza di campi magnetici forti e organizzati che si sviluppano a spirale dal margine del buco nero al cuore della Via Lattea. Inoltre, ha rivelato che la loro struttura è sorprendentemente simile a quella dei campi magnetici del buco nero al centro della galassia M87, suggerendo che questi forti campi magnetici possano essere comuni ai buchi neri. La somiglianza suggerisce anche che vi possa essere un getto di materia nascosto in Sgr A*, così com’è in M87. La luce polarizzata è un’onda elettromagnetica che oscilla con un determinato orientamento. Nel plasma attorno ai buchi neri osservati, le particelle che ruotano attorno alle linee del campo magnetico determinano uno schema di polarizzazione perpendicolare al campo. Ciò consente di vedere con dettagli sempre più vividi che cosa stia accadendo nelle regioni dei buchi neri e di mappare le linee del loro campo magnetico. 


Un oggetto del mistero per MeerKat

Illutrazione del sistema Ngc 1851: le due stelle sono separate da 8 milioni di km e ruotano l’una attorno all’altra ogni 7 giorni. Credit: D. Futselaar (artsource.nl)

Un articolo pubblicato su Science svela la presenza di un oggetto dalla natura misteriosa all’interno dell’ammasso globulare Ngc 1851, a oltre 39mila anni luce dalla Terra. Di cosa si tratta? Un team internazionale di astronomi – guidato da ricercatori dell’Istituto Max Planck per la radioastronomia di Bonn e a cui partecipano anche ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dell’Università di Bologna – ha sfruttato la sensibilità delle antenne del radiotelescopio sudafricano MeerKat per scoprire un oggetto massiccio dalle caratteristiche uniche: è più pesante delle stelle di neutroni più pesanti conosciute e allo stesso tempo è più leggero dei buchi neri più leggeri trovati finora. Altro particolare non di poca rilevanza: l’indagato speciale è in orbita attorno a una pulsar al millisecondo in rapida rotazione. Questa potrebbe essere la prima scoperta del tanto ambito sistema binario radio pulsar-buco nero: una coppia stellare che consentirebbe nuovi test della teoria della relatività generale di Einstein. Gli astronomi sono stati in grado prima di rilevare e poi di studiare ripetutamente i deboli impulsi provenienti da una delle stelle dell’ammasso, identificandola come una pulsar radio: denominata Ngc 1851E, ruota su se stessa più di 170 volte al secondo, e ogni rotazione produce un impulso ritmico, come il ticchettio di un orologio.


Le origini del cerio, l’accendino dell’universo

Apparato di misura utilizzato presso la facility n_Tof del Cern. Lo scopo di n_Tof è studiare le interazioni neutrone-nucleo. Crediti: S. Amaducci/ Infn

Il cosmo, un enorme laboratorio di reazioni nucleari, nasconde ancora molti segreti. Una nuova ricerca – guidata dall’Istituto di fisica nucleare (Infn) con la partecipazione Inaf, pubblicata sulla rivista Physical Review Letters e condotta al Cern presso l’esperimento n_Tof – getta luce sul mistero della produzione di cerio nell’universo, ponendo nuove domande stimolanti sulla nucleosintesi stellare e l’evoluzione chimica delle galassie. Sebbene non sia famoso, il cerio è un elemento chimico fondamentale qui sulla Terra. Fa parte delle cosiddette terre rare, al giorno d’oggi indispensabili per le più avanzate applicazioni tecnologiche ma anche per oggetti utilizzati quotidianamente da miliardi di persone nel mondo: senza il cerio, ad esempio, non funzionerebbero gli accendini. Nello studio, n_Tof è stato utilizzato come sorgente di fasci di neutroni che riproduce alcune delle reazioni da essi indotte, determinanti in vari campi di ricerca tra cui la fisica medica, l’astrofisica nucleare e la produzione di energia. Relativamente raro nella crosta terrestre, il cerio nell’universo è leggermente più abbondante, e lo scopo della ricerca condotta a n_Tof è stato proprio misurare la sezione d’urto della reazione nucleare dell’isotopo 140 del cerio con un neutrone, per produrre l’isotopo 141, un meccanismo chiave per il processo di cattura lenta di neutroni. 

Grandi scoperte recenti


Pesare le galassie con l’intelligenza artificiale

Il rapporto tra IA e astrofisica, come immaginato e riprodotto da un’intelligenza artificiale. Crediti: Inaf/C. Tortora

Gli algoritmi e le applicazioni di intelligenza artificiale fanno ormai parte della nostra vita quotidiana. La comunità scientifica, tuttavia, ne fa largo utilizzo già da diversi anni e l’Italia, in questo, è all’avanguardia. L’Inaf, per esempio, ha partecipato a un progetto guidato dalla Sun Yat-sen University (in Cina), dimostrando per la prima volta che l’intelligenza artificiale può imparare dalle simulazioni cosmologiche di formazione ed evoluzione dell’universo a misurare correttamente la massa delle galassie. Lo studio, pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics, descrive una nuova metodologia per stimare la massa delle galassie (incluso il loro contenuto di materia oscura) usando il machine learning. Gli esperti hanno confrontato le stime del nuovo codice, denominato Mela (Mass Estimator machine Learning Algorithm), con stime di procedure dinamiche classiche, verificando quindi che Mela può riprodurre con incredibile accuratezza le masse dei metodi classici, in alcuni casi molto più laboriosi e basati su dati molto più complessi (per esempio la cinematica 3D) dei dati più semplici di cui Mela ha bisogno, e che saranno prodotti per milioni di galassie con i progetti di spettroscopia di nuova generazione in cui l’Inaf è coinvolto, come Weave e 4Most.


Un pianeta troppo grande per la sua stella

Un’illustrazione mostra il riflesso della nana rossa Lhs 3154 sul pianeta Lhs 3154 b, di dimensioni paragonabili a quelle di Nettuno. Crediti: Penn State University

Immaginate una stella piccola e fredda, nove volte meno massiccia del Sole. E un pianeta, in orbita attorno a quella stella, tredici volte più massiccio della Terra. Troppo strano e sicuramente mai visto. Almeno finora! Un gruppo di ricercatori ha di recente riportato su Science la scoperta di un tale sistema. La stella “ultra fredda” si chiama Lhs 3154 e il rapporto di massa tra il pianeta appena scoperto e la sua stella ospite è più di cento volte superiore a quello tra la Terra e il Sole. Secondo questo studio, si tratta del pianeta più massiccio conosciuto in orbita stretta attorno a una stella nana bianca ultrafredda, tra le meno massicce e più fredde dell’universo. La scoperta è in contrasto con le attuali teorie che prevedono la formazione di pianeti attorno a stelle piccole e rappresenta la prima volta che un pianeta con una massa così elevata viene avvistato in orbita attorno a una stella di massa così bassa. La scoperta è stata realizzata utilizzando uno spettrografo astronomico costruito alla Penn State, chiamato Habitable Zone Planet Finder o Hpf, progettato per individuare i pianeti in orbita attorno alle stelle più fredde, che potenzialmente potrebbero avere acqua liquida in superficie.


Il nettuniano più denso mai osservato

Illustrazione dell’esopianeta TOI-1853 b, un mondo più piccolo di Nettuno ma 5 volte più massiccio. Crediti: L. Naponiello

Si chiama Toi-1853 b ed è estremamente peculiare: ogni 30 ore compie un giro completo intorno alla sua stella, ha un raggio comparabile con quello di Nettuno (3,5 raggi terrestri, da cui il nome), ma una massa di circa quattro volte più grande. Ciò gli conferisce il primato della densità più elevata fra gli esopianeti nettuniani noti a oggi (circa 10 g/cm3, il doppio della densità della Terra). Distante 545 anni luce da noi, Toi-1853 b si trova nella costellazione di Boote e la sua scoperta, pubblicata su Nature, è stata realizzata da un team internazionale di ricercatori, guidato da Luca Naponiello, 31 anni, dottorando in astrofisica all’Università di Roma Tor Vergata e primo autore del lavoro. Diversi ricercatori dell’Inaf hanno dato un contributo di fondamentale importanza allo studio. «In base alle teorie di formazione ed evoluzione planetaria, non ci si aspettava che potesse esistere un pianeta simile e così vicino alla sua stella», commenta Naponiello. «È un pianeta con densità troppo elevata per essere un classico pianeta di tipo nettuniano e, di conseguenza, deve essere estremamente ricco di elementi pesanti». La sua presenza nel ”deserto dei Nettuniani” è, dunque, un ulteriore mistero da chiarire.

Premi, nomine & elezioni


Al team di Ixpe il premio “Bruno Rossi” 2024

Illustrazione dell’osservatorio spaziale Ixpe (Imaging X-Ray Polarimetry Explorer). Crediti: Nasa/Msfc

Il prestigioso premio Bruno Rossi 2024 dell’High Energy Astrophysics Division (Head) dell’American Astronomical Society è stato conferito a Martin Weisskopf, Paolo Soffitta e alla Collaborazione scientifica della missione Ixpe «per lo sviluppo dell’Imaging X-ray Polarimetry Explorer, le cui nuove misure migliorano la nostra comprensione dell’accelerazione e dell’emissione delle particelle da shock astrofisici, buchi neri e stelle di neutroni». Ixpe, lanciato nel dicembre 2021, grazie alle sue nuove, ricche e dettagliate misure sta contribuendo in modo stupefacente alla comprensione dei meccanismi di funzionamento di molti processi che avvengono nel nostro universo. In particolare Ixpe ha aggiunto due osservabili: l’intensità e l’angolo di polarizzazione simultaneamente alla più usuale coordinata spaziale, temporale e all’energia. Questo è alla base del successo di Ixpe che ha svolto ricerche importantissime nell’ambito dei fenomeni di accelerazione nelle pulsar wind nebule più brillanti e nei blazars. Ha permesso poi di studiare fenomeni di turbolenza e shocks nei resti di supernove, mappandone il campo magnetico nelle immediate vicinanze dei siti di accelerazione. 


Sara Lucatello sarà presidente della Eas

Sara Lucatello, primo ricercatore presso l’Inaf Osservatorio Astronomico di Padova. Crediti: Inaf/ R.Bonuccelli

Astrofisica all’Inaf di Padova e già vicepresidente della European Astronomical Society (Eas) dal 2018, Sara Lucatello ricoprirà la massima carica dell’organizzazione a partire da luglio e per due anni. Sarà la prima donna nella storia dell’Eas a ricoprire il ruolo di presidente, e sarà anche la prima volta che un presidente proviene da un paese mediterraneo. Lo scorso luglio, in occasione dell’assemblea generale dell’Eas che si è tenuta a Cracovia, il presidente uscente Roger Davies aveva annunciato che avrebbe lasciato il proprio ruolo alla riunione dell’anno successivo, con due anni di anticipo. «È un grande onore per me essere stata scelta dai colleghi del Council per guidare la società fino al 2026», dice Lucatello. «È un importante riconoscimento del mio impegno nelle attività della Società: la promozione e lo sviluppo dell’astronomia in Europa. In questi sette anni, il presidente uscente, Roger Davies, ha guidato la Società con straordinaria competenza e dedizione attraverso cambiamenti significativi. La mia nomina è un passo importante: sarò la prima donna e la prima persona proveniente dal Sud Europa a ricoprire la carica di presidente».


Un dibattito elettorale all’americana per il VII CdA

Villa Mellini, sede centrale Inaf. Situata sulla sommità della riserva naturale di Monte Mario, occupa il punto più alto della città di Roma. Crediti: Inaf/D. Coero Borga

Il 7 dicembre 2023 si è svolto, presso la Sala Stampa M. Cimino del quartier generale dell’ Inaf, un esperimento di stakeholders engagement rivolto ai dipendenti dell’ente, in occasione delle elezioni per la scelta dei due membri elettivi al VII Consiglio di Amministrazione. Si è infatti provato a definire le questioni emergenti per le linee programmatiche del prossimo CdA, dando ai candidati la possibilità di argomentare le proprie tesi attraverso un dibattito all’americana, focalizzato sul sottoinsieme di temi selezionati dagli elettori, mediante un sondaggio web, fra quelli proposti dagli stessi candidati. Nonostante lo scetticismo iniziale verso l’iniziativa, gli analytics dell’evento, che si ricorda essere stato trasmesso in diretta streaming sul canale YouTube della Sede centrale dell’Inaf, non lasciano adito a dubbi circa la bontà della sperimentazione: la punta di massimo ascolto ha infatti registrato 1097 visualizzazioni, esattamente il numero degli elettori attivi, dimostrando, quantomeno, l’esistenza di un diffuso desiderio di partecipazione alle scelte che regolano la vita lavorativa nell’ente, tema sul quale si rendono, evidentemente, necessari approfondimenti e riflessioni.