Nell’universo non si sta quasi mai fermi. Può capitare, per esempio, che un oggetto con un forte campo gravitazionale cresca, magari a discapito di una stella vicina, più piccola, dalla quale sottrae della materia. E che poi parte di questa materia prima di essere ingurgitata venga espulsa attraverso meccanismi di lancio ancora ignoti. Un “pasto” spaziale nel quale è affascinante avventurarsi.
Le stelle di neutroni, insieme ai loro cugini più massivi, i buchi neri stellari, sono il prodotto finale dell’evoluzione di stelle di massa superiore a 10 volte quella del Sole o, secondo alcuni modelli, per i buchi neri addirittura superiori a 40 masse solari. Alla fine della propria vita questo tipo di stelle esplode dando origine a una supernova: una parte della materia viene espulsa e va a formare una nebulosa, mentre il nucleo soccombe alla gravità collassando fino a formare un oggetto compatto di elevatissime densità, ovvero una stella di neutroni, con masse tipicamente intorno a 1,4 masse solari e raggi intorno ai 10 chilometri, o un buco nero con masse superiori alle 3 masse solari.
LE STELLE DI NEUTRONI
Subito dopo la scoperta del neutrone, qualcosa di simile a una stella composta principalmente da neutroni fu per la prima volta immaginata da Lev Landau nel 1932. Fu solo nel 1967, però, che se ne ebbe l’evidenza sperimentale, quando la giovane dottoranda irlandese Jocelyn Bell-Burnell osservò con un radiotelescopio un segnale pulsante periodico. Inizialmente a questo oggetto celeste fu dato il nome di Lgm-1, Little Green Men (omini verdi) poiché la Bell e il suo professore (Antony Hewish, al quale fu dato il Nobel per la scoperta) pensarono che fosse un segnale inviato da extra-terrestri. Poco dopo capirono che si trovavano di fronte a una stella di neutroni velocemente rotante, una pulsar.
L’ACCRESCIMENTO
Stelle di neutroni e buchi neri possono avere origine da stelle solitarie, ma, molto spesso, si osservano in sistemi binari con una compagna che si trova in una fase evolutiva differente. Questi sistemi vanno sotto il nome di binarie ai raggi X (X-ray binaries) poiché sono forti emettitori di questo tipo di radiazione. Ma qual è il processo fisico che sta alla base di questa emissione? L’oggetto compatto con il suo forte campo gravitazionale attrae a sé la materia della malcapitata stella compagna, la quale, se ha una massa inferiore o uguale a quella del Sole (in questo caso si parla quindi di Low Mass X-ray binaries), accresce materia sotto forma di disco di accrescimento, ovvero di materia che spiraleggia verso la stella morta. Il processo fisico dell’accrescimento, quindi, permette la trasformazione dell’energia potenziale gravitazionale della materia che cade sull’oggetto compatto in radiazione, che può arrivare fino a temperature dell’ordine dei milioni di gradi, corrispondenti a un’emissione nella banda elettromagnetica dei raggi X.
LE BINARIE X
Se osserviamo la nostra galassia con occhi sensibili alla radiazione X, ovvero con telescopi spaziali dotati di rivelatori che catturano questo tipo di luce, la troveremo costellata di sorgenti. Molte di esse sono transienti che si accendono e si spengono su tempi scala anche molto brevi, dell’ordine dei minuti, o più lunghi, restando emettitori X anche per diversi anni. Tra questi oggetti della Galassia appartenenti a quello che chiamiamo amichevolmente “l’universo violento”, molti sono proprio delle binarie X. Fu Bruno Rossi, professore italiano al Massachusetts Institute of Technology, agli inizi degli anni Sessanta a ipotizzare l’esistenza di sorgenti X extra-solari. Nel 1962, la prima mai osservata, che risulta anche la più luminosa della Galassia, è proprio una binaria X di piccola massa con stella di neutroni, Scorpius X-1, che a differenza della maggioranza di questo tipo di sistemi è una sorgente X persistente.
Che significa esattamente? Nelle binarie X persistenti l’accrescimento è sempre attivo e abbastanza costante, quelle transienti invece passano gran parte della loro vita in quiescenza, ovvero con tassi di accrescimento di materia molto bassi, che corrispondono a luminosità X di 10^31-33 erg/s o anche inferiore e quindi difficilmente rivelabile dagli attuali telescopi. Nelle transienti questi lunghi periodi di inattività vengono improvvisamente rotti da una crescita repentina del tasso di accrescimento (dovuto a delle instabilità nel disco ma non solo) e quindi della luminosità X, che può aumentare anche di diverse magnitudini. In questo caso si dice che la binaria è in outburst ed è spesso la fase in cui vengono scoperte.
I LAMPI X DI TIPO I
Una delle conseguenze del processo fisico dell’accrescimento è l’accumulo di grandi quantità di materia sulla superficie della stella di neutroni. Con il progredire dell’accumulo, questa materia può raggiungere valori di temperatura e densità tali da innescare potenti esplosioni termonucleari sulla superficie della stella di neutroni, simili a quelle prodotte dalle bombe a idrogeno. Queste danno luogo a improvvisi e, per maggior parte delle volte, non prevedibili aumenti della luminosità X, chiamati lampi X di tipo I (type-I X-ray burst), che sono il segno tangibile di un “pasto” abbondante in corso. La rapida crescita di luminosità X dura da 1 a 10 secondi, mentre la decrescita esponenziale può durare anche fino a centinaia di secondi. Questi lampi X sono la prova definitiva che il sistema binario ha come oggetto compatto una stella di neutroni e non un buco nero, poiché sono eventi che possono avvenire solo in presenza di una superficie, che il buco nero non possiede.
L’ESPULSIONE
Nonostante la loro avidità, non tutta la materia in accrescimento viene però inghiottita dall’oggetto compatto, dimostrando così che non siamo di fronte a semplici “aspirapolveri” unidirezionali. Una parte di questa materia viene infatti espulsa nello spazio (fenomeno dell’ejection) sotto forma di potenti flussi collimati e veloci di materia ed energia, fino a velocità prossime a quelle della luce, osservabili principalmente nelle bande radio e infrarosso dello spettro elettromagnetico: i cosiddetti getti. Osservati in tutti i sistemi in accrescimento, sia con stella di neutroni sia con buco nero, questi getti sono studiati fin dagli anni Settanta. A oggi sappiamo che possono propagarsi verso l’esterno a velocità prossime a quella della luce, depositando enormi quantità di energia nell’ambiente circostante che può condizionare la formazione stellare e dunque l’evoluzione della galassia ospite. Su scale nettamente maggiori, i getti li troviamo anche nei buchi neri supermassicci (da milioni a miliardi di masse solari) che si trovano nei centri delle galassie e che possono sparare getti giganti, molte volte più estesi della stessa galassia ospite. Questi getti supermassivi possono alterare l’evoluzione della galassia e dell’ammasso di galassie in cui essa si trova, e si pensa che a livello cosmologico abbiano contribuito alla ionizzazione dell’universo primordiale.
Tuttavia, ci sono ancora molte domande aperte sul loro conto. Quali sono effettivamente i meccanismi di lancio dei getti? Qual è la relazione che lega il processo di accrescimento di materia su un oggetto compatto e l’espulsione di parte di essa?
Un team internazionale di ricercatori a guida Inaf ha scoperto l’esistenza di una connessione tra le esplosioni termonucleari di raggi X che si verificano sulla superficie delle stelle di neutroni in accrescimento e i potenti getti osservati in questi sistemi binari. Inoltre, questa scoperta ha permesso ai ricercatori di misurare per la prima volta in modo diretto la velocità di un getto. Questa misura è particolarmente importante in quanto è uno dei pochi metodi dai quali si può cominciare a comprendere la questione chiave sul meccanismo di lancio dei getti. I risultati sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Nature.
GLI INVESTIGATORI
Un’intensa campagna di osservazioni coordinate in banda radio e in banda X è stata condotta da un team internazionale guidato da ricercatori dell’Inaf, comprendente scienziati di diverse nazioni europee, Stati Uniti, Canada e Australia. Le osservazioni in banda X, che tracciano il flusso di accrescimento sulla stella di neutroni, sono state condotte utilizzando il satellite Integral dell’Agenzia spaziale europea (Esa). Integral è un osservatorio per l’astrofisica gamma, lanciato nel 2002, con a bordo due telescopi che osservano nella banda del gamma soft (20 keV – 10 MeV) e due monitor per la ricerca delle controparti in ottico e in banda X. Proprio quest’ultimo strumento, Jem-X, sensibile nella banda 3-20 keV, è stato utilizzato per osservare i lampi termonucleari oggetto dello studio. Il monitoraggio in banda radio, che permette d’altro canto di studiare l’emissione dei getti, è stato condotto invece con l’Australia Telescope Compact Array (Atca), una schiera di sei radiotelescopi situati presso l’osservatorio Paul Wild, in Australia, gestiti dall’Agenzia scientifica nazionale australiana (Csiro) e sensibile alle frequenze dei GHz.
Le binarie X oggetto di questo studio sono 4U 1728-34 e 4U 1636-536, e mostrano entrambe frequenti lampi X di tipo I. Per ognuna delle due sorgenti è stata condotta un’intensa campagna di osservazioni simultanee nell’X e nel radio, con l’obbiettivo di individuare eventuali cambiamenti nell’emissione radio in seguito al verificarsi dell’esplosione termonucleare. Ed è proprio quello che è stato trovato: incrementi della luminosità radio, detti flares, sono stati osservati entro pochi minuti dopo ogni singola esplosione termonucleare.
ACCRESCIMENTO ED ESPULSIONE
Per la verità, si pensava che il ruolo di queste esplosioni sui getti fosse minimo, mentre invece le osservazioni hanno mostrato un impatto drammatico, in cui le esplosioni sulla superficie della stella vanno a potenziare fortemente la luminosità dei getti, pompando materia aggiuntiva al loro interno.
Questo risultato va ad aggiungersi alle evidenze sperimentali che ci dicono da più parti che esiste una forte connessione tra l’accrescimento di materia sugli oggetti compatti e l’espulsione di parte di essa. Questa dell’accretion/ejection coupling è una delle grandi domande ancora aperte dell’astrofisica relativistica proprio perché manca la comprensione sul come e sul perché una parte di questa materia in accrescimento a un certo punto venga espulsa a velocità relativistiche sotto forma di getti collimati.
Ma come si è arrivati alle misure di velocità del materiale all’interno del getto?
Quando osserviamo un getto a diverse frequenze stiamo praticamente guardando l’emissione che viene da diverse zone del getto stesso. Andando verso le frequenze più alte (dal radio all’infrarosso) osserviamo zone via via più interne, ovvero più vicine all’oggetto compatto. Premesso ciò, quindi, il tracciamento dei flares radio mentre si propagano lungo il getto può essere usato per calcolare la velocità del materiale nel getto, misurando il tempo impiegato dal materiale proveniente dall’esplosione termonucleare a scorrere lungo il getto. Si è scoperto quindi che la materia espulsa sotto forma di getti viaggiava a velocità pari al 40 per cento della velocità della luce, ovvero circa 432 milioni di chilometri all’ora: incredibilmente veloci quindi! In realtà se paragonati ai getti dei sistemi con buco nero, che possono produrre getti che viaggiano al 95 per cento della velocità della luce (circa 1 miliardo di chilometri all’ora), queste velocità sono sorprendentemente lente. A differenza dei sistemi con buco nero però, queste misure delle velocità dei getti nei sistemi con stelle di neutroni possono aiutarci alla comprensione dei meccanismi di lancio dei getti stessi.
LO SCENARIO TEORICO
Esistono varie teorie sul meccanismo di lancio dei getti: per alcune essi sono alimentati dalla rotazione della stella di neutroni (o del buco nero), per altre invece la rotazione della materia in accrescimento mentre cade sull’oggetto compatto ne sarebbe la responsabile. Fino ad ora non sono stati trovati dei metodi di osservazione efficaci per determinare quale delle due idee fosse quella corretta. Per i buchi neri abbiamo diverse misure delle velocità dei getti, mentre stimare la rotazione (spin) del buco nero stesso è molto difficile e i risultati possono variare in base al metodo utilizzato. Per le stelle di neutroni, invece, il periodo di rotazione viene misurato più facilmente e con precisione, e la misura non dipende dai metodi utilizzati. Attualmente conosciamo circa 125 sistemi di stelle di neutroni che mostrano lampi di raggi X di tipo I, e questo numero è in continua crescita man mano che vengono scoperte nuove sorgenti. Ognuno di questi sistemi può avere differenti proprietà in termini di periodo di rotazione e di massa della stella di neutroni, ambedue ingredienti chiave del lancio dei getti. Confrontando come le velocità dei getti possa variare tra stelle di neutroni con proprietà diverse, in particolare con la loro velocità di rotazione e con la loro massa, possiamo trovare una correlazione tra le velocità dei getti e le proprietà delle stelle di neutroni. Se così fosse, cioè se questa relazione esiste, avremo scoperto che il meccanismo dominante di lancio dei getti è legato alla rotazione della stella di neutroni, rispondendo così a un mistero ancora senza risposta dell’astrofisica.
I PROSSIMI PASSI
Abbiamo già cominciato a programmare nuove osservazioni per ampliare il nostro campione di oggetti in cui studiare questo fenomeno, aggiungendo nuovi telescopi più sensibili e che coprono diverse bande di frequenza. Nel futuro più remoto avremo poi l’array di radiotelescopi Ska (Square Kilometre Array), in cui l’Inaf è profondamente coinvolta, che permetterà di fare numerose scoperte e ampliare la nostra conoscenza sulla relazione accrescimento/espulsione e in generale su come la materia si comporta in condizioni di gravità estrema, ovvero vicino a buchi neri e stelle di neutroni.