Moduli abitativi, ologrammi biotecnologici ma anche opere d’arte che invitano a riflettere su chi, come e perché esplora lo spazio oggi. Allo Universe Pavilion di Venezia.
Igloo di mattoni a base di regolite. Coltivazioni idroponiche à la Matt Damon di The Martian. Acqua estratta dai crateri polari, dove l’ombra perenne custodisce una delle risorse lunari più preziose. Sono queste alcune delle immagini più comuni che associamo all’esplorazione umana del cosmo: un’impresa fatta di scienza e tecnologia spinte fino ai limiti, popolata da emissari asettici, quasi robotici. Gesta eroiche dietro le quali si intravedono a fatica sogni, paure, emozioni.
Ma l’avventura spaziale non è fatta solo di sfide tecniche e barriere fisiche da superare. È un atto profondamente umano in cui si ritrovano tutte le persone che, a bordo del pianeta Terra, solcano gli spazi interplanetari e ancora si meravigliano dinanzi al cielo stellato. Così la mostra Sheltering in space – A guide, tenutasi dal 10 maggio al 31 luglio 2025 presso lo Universe Pavilion della Biennale di Architettura a Venezia, supera le visioni di habitat e stazioni spaziali, all’insegna della collaborazione e dello scambio interculturale: un dialogo tra scienza, tecnologia, ingegneria e arte.
Chi siamo quando varchiamo quel confine artificioso tra l’atmosfera terrestre e l’universo? Siamo esploratori? O profughi? Sono le domande da cui parte l’austriaca Claudia Schnugg, curatrice della mostra, organizzata da Claudia Kessler e Janine Thüngen-Reichenbach. A quale comunità apparteniamo, quando ci affacciamo al cospetto del cosmo, e cosa significa appartenere a una comunità? Domande che plasmano l’idea di rifugio nello spazio, come nel titolo dell’iniziativa. «Rifugiarsi significa riappropriarsi di un luogo, tracciare un fragile confine tra la vita e l’ignoto» scrive Schnugg nel catalogo della mostra. «Nello spazio, rifugiarsi assume un nuovo significato. Non si tratta semplicemente di costruire muri o di risolvere sfide ingegneristiche; è un atto di sopravvivenza, adattamento e immaginazione».
Si comincia con visioni classiche, dai moduli spaziali realizzati dal gruppo LIQUIFER a microbi e sistemi di supporto alla vita nelle proiezioni olografiche di Kristina Pulejkova. Ma proseguendo nel percorso espositivo, lo sguardo si alterna tra spazio e terra, ripensando allo sfruttamento delle risorse e alla sostenibilità. C’è una casetta dorata, la scultura Sapiens’ Space Shelter Home di Thüngen-Reichenbach, fatta di quei teli isolanti multistrato che riportano alla mente tanto sonde e satelliti quanto chi approda sulle nostre coste in cerca di asilo, protezione, rifugio. E poi c’è l’emu, grande costellazione che i popoli indigeni dell’Australia leggono non tra le stelle del cielo ma nelle chiazze scure – nubi di polvere interstellare – che cospargono la Via Lattea: un grande uccello celeste che guida le comunità aborigene lungo i ritmi della terra nel corso dell’anno. È l’opera Spacey Blak Emu di Karla Dickens, artista di origine Wiradjuri, con la quale rivendica il concetto di rifugio come senso di appartenenza alla comunità. Un’appartenenza spaziotemporale, segnata dal profondo legame con il cielo.

L’allestimento di Sheltering in space – A guide, presso lo Universe Pavilion della Biennale di Architettura a Venezia. Crediti: Record Studio
