Dalla tangenziale ai buchi neri: l’inquiry-based learning

Dalla tangenziale ai buchi neri: l’inquiry-based learning

Diventare protagonisti dell’apprendimento è un modo perfetto per comprendere in modo attivo, senza paura, neanche delle stelle. Un esempio di inquiry-based learning dall’osservatorio di Brera.

Mattino di scuola. IV C, Liceo della periferia di Milano, auto che sfrecciano sulla tangenziale Ovest. Sulla Lim, 12 immagini in successione: un gruppo di stelle che si spostano, danzando. Sono osservazioni del centro galattico nell’infrarosso raccolte nell’arco di 11 anni. Le immagini sono dei quadrati con lato pari a 120 giorni-luce. Che cosa sta accadendo in quel pezzo di cielo? 

Un’illustrazione di S2 in transito molto vicino al buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea. Il campo gravitazionale “accende” la stella di rosso per effetto della relatività di Einstein.

Sono più di vent’anni e oltre 1000 incontri che l’Osservatorio di Brera porta il “fare scienza” a scuola. Progettiamo laboratori che utilizzano dati astronomici, ispirati a una concezione costruttivista dell’apprendimento. Vogliamo stimolare il pensiero divergente, non assiomatico, aiutando gli studenti a mettere in gioco se stessi: è la “persona” che cresce, non lo “studente”. Una delle strategie su cui abbiamo investito di più con il passare del tempo è l’inquiry-based learning, ben nota da tempo in ambito educativo. Nell’Inquiry – cioè investigazione, attivazione di fronte a un fenomeno – lo studente diviene protagonista della comprensione. 

Torniamo al centro galattico: che cosa sta accadendo? «Boh», dicono loro. Ci dividiamo in gruppi di 3-4 persone, per provare a capire insieme. Compito di ciascun gruppo è di ricavare un’informazione scientifica dai dati: ciascun gruppo definisce la propria domanda di ricerca. 

L’insegnante interviene il meno possibile, ha il ruolo di facilitatore. Dà informazioni di contorno, sostiene, incoraggia ciascun gruppo a condividere i propri dubbi. Bisogna superare i primi 20-30 secondi: sono quelli in cui venti adolescenti adottano la tattica dell’opossum. Silenzio mortale. Poi un gruppo inizia a dire: «Noi pensavamo di calcolare la velocità di quella stella». E indicano la stella che si muove più dritta di tutte. «Ah,» fa un altro gruppo, «si può?». Questo dubbio nasce dal fatto che sembra una cosa semplice. Questo è lo snodo di tutto: è fondamentale che l’insegnante confermi che in fisica si inizia sempre facendo le cose più semplici. Le cose complicate arrivano dopo. Quasi subito, fra l’altro. E qui il ghiaccio si rompe. Ogni gruppo sceglie la sua stella, di cui cerca di misurare la posizione. Ma la stella è sparsa su vari pixel: qual è la sua “vera” posizione? Discutiamone: c’è un’incertezza implicita nei dati. Basta stimolare i ragazzi e saranno loro a fare le considerazioni più interessanti. E quando due stelle sono sovrapposte? Qualche gruppo finisce per notare che una stella sembra compiere una traiettoria curva: perché? Che cosa la attrae? Dieci minuti dopo, i gruppi sono impegnati in misure, grafici e calcoli. 

Piano piano, guidati nelle interazioni, i gruppi iniziano a ricostruire la mappatura dei moti del campo stellare, fin quando, in media 1-2 gruppi a classe ricordano la III legge di Keplero, quella strana in cui c’entrano il periodo e l’asse maggiore dell’ellisse. Perché quella legge vale per tutti i pianeti, quindi forse per tutte le stelle che si muovono intorno a quel centro di massa che non si vede. E forse ci può dare indicazioni proprio sul centro di massa. Ma qual è l’asse maggiore? E se la traiettoria fosse inclinata rispetto alla linea di vista? Con una facilitazione sensata, nel giro di due ore e mezzo si arriva alla stima della massa dell’attrattore nel centro della nostra Galassia. Anzi, al suo limite inferiore. Il Premio Nobel per questo è già stato vinto, ma l’emozione è sempre palpabile. Ecco, ora si può parlare dei buchi neri. Senza angoscia, ma da protagonisti.