Coltelli, piramidi e petali

Coltelli, piramidi e petali

Spesso nuovi approcci e idee non convenzionali possono condurre a un progresso rispetto a un determinato problema o processo, e la parabola di un’innovazione tecnologica o di una scoperta scientifica spesso tende a evolversi diversamente da quanto previsto e a volte anche in modo imprevedibile.

LO SPECCHIO M4 DI ELT
Lo specchio M4, progettato in Italia e dotato di sei segmenti a forma di petalo, è il più grande specchio adattivo mai costruito. Crediti: Eso

Nel 1858 il fisico francese Léon Foucault descrisse il test del coltello come un modo per misurare le forme coniche degli specchi ottici. Si tratta di una tecnica adottata dai costruttori di lenti dalla fine del XIX secolo per determinare la qualità dei componenti ottici sfruttando i principi dell’ottica geometrica per evidenziare le imperfezioni delle superfici. 

Dal test di Foucault deriva il principio di funzionamento del sensore di fronte d’onda sviluppato da Roberto Ragazzoni nel 1996, quasi centocinquant’anni dopo: una piramide di vetro a base quadrata, due lenti convergenti e un sensore di immagine destinato a riprodurre quattro test del coltello simultaneamente. Il sensore a piramide costituiva un nuovo modo per misurare con precisione e rapidità il fronte d’onda proveniente da una sorgente luminosa astronomica deteriorato dalla turbolenza atmosferica. Un sistema di ottiche adattive avrebbe poi provveduto a ripristinare la qualità dell’immagine.

Oggi, il sensore a piramide sta dando ottimi risultati nei sistemi di ottica adattiva dei più grandi telescopi terrestri come il Large Binocular Telescope, e sarà la soluzione adottata dall’europeo Extremely Large Telescope e l’americano Giant Magellan Telescope. Sono questi i giganti del futuro dell’astronomia ottica da terra, con specchi primari del diametro di 20-30 metri che, oltre al disturbo introdotto dall’atmosfera, devono fare fronte a un altro problema: sono dotati di superfici riflettenti non monolitiche costituite da specchi più piccoli – chiamati tasselli o petali – che devono essere mantenuti allineati e in fase con accuratezza nanometrica (al miliardesimo di metro) per garantire alte le prestazioni del telescopio.

Le ottiche (ad)attive sono ormai considerate uno standard anche per i grandi telescopi spaziali di prossima generazione. Rischi e costi sono globalmente ridotti grazie alla correzione attiva delle deformazioni termomeccaniche, delle vibrazioni e degli errori dovuti al dispiegamento dello specchio primario segmentato. A rispondere all’esigenza dei prossimi telescopi spaziali a grande apertura di unire grande stabilità e alta risoluzione potrebbe essere proprio il sensore a piramide che, con la sua alta sensibilità, potrebbe velocizzare il processo di misura dello sfasamento dei petali di uno specchio, e il conseguente riallineamento, da un tempo scala di minuti a decimi di secondo, permettendo un guadagno anche in termini di precisione spaziale. 

Oggi, lo sviluppo del potenziale del sensore a piramide per i telescopi spaziali, oltre che per i grandi telescopi terrestri, è portato avanti nei laboratori Adoni (ADaptive Optics National Italian lab) dell’Inaf. 

Il finale della storia non è scritto.