Nuovi telescopi, più energia pulita

Nuovi telescopi, più energia pulita

Nel deserto di Atacama, in Cile, nuovi telescopi alimentati con energie rinnovabili potrebbero coprire anche il 66% del fabbisogno energetico delle comunità vicine, attualmente dipendenti dai combustibili fossili che pagano a caro prezzo.

La dipendenza dai combustibili fossili delle comunità isolate del Cile è un problema ambientale, economico e sociale. Ma, forse, risolvibile: gli astronomi impegnati nella progettazione del telescopio Atacama Large Aperture Submillimeter Telescope (AtLast) propongono di creare una comunità energetica che sfrutti il fotovoltaico a beneficio dell’osservatorio stesso e delle comunità vicine.

Il deserto di Atacama è uno dei luoghi con maggiore insolazione annua. Sebbene l’area ospiti l’85% degli impianti solari del Cile, la maggior parte dell’energia generata viene usata per alimentare le miniere che estraggono il litio o esportata in altre province. Le comunità cilene che vivono a San Pedro di Atacama e nei paesi limitrofi, invece, sopravvivono grazie a generatori a petrolio o a gas, poiché la rete elettrica nazionale si ferma a 100 chilometri dalla città. Generatori spesso insufficienti e che costringono a costi ben più alti della media nazionale.

Anche i telescopi remoti, storicamente, venivano alimentati usando generatori a combustibili fossili, ma negli ultimi anni gli astronomi si stanno impegnando per aumentare la sostenibilità delle strutture e, per le nuove costruzioni, ambiscono a un sostentamento il più possibile green. Dal 2016 La Silla è alimentata per oltre il 50% da energia solare, mentre nel 2022 il Vlt e l’Elt in Cile hanno commissionato un parco fotovoltaico da 9 MW per evitare l’emissione di 1700 tonnellate di CO2 equivalenti all’anno. Anche il progetto del telescopio AtLast, in costruzione nell’altopiano del Chajnantor, include soluzioni a energia rinnovabile. Da qui l’idea che salverebbe capra e cavoli: creare una comunità energetica in cui il telescopio condividerebbe il surplus energetico derivante dall’energia solare con le comunità vicine, liberandole dalla dipendenza dal fossile. Una soluzione che potrebbe provvedere al 66% del loro fabbisogno.

Non solo, nello studio si calcola che replicare sistemi energetici simili in telescopi vicini potrebbe ridurre la produzione di energia fossile di 30 GWh all’anno, tagliando le emissioni di 18-24 chilotoni di CO2 equivalente e garantendo ai cittadini l’accesso all’energia rinnovabile.

«Non è la prima volta che osservatori astronomici importanti prestano attenzione all’impatto ecologico e al rispetto dell’ambiente, includendo l’aspetto sociale oltre che naturalistico», commenta Roberto Ragazzoni, presidente dell’Inaf. «Grande attenzione in questo senso, ad esempio, viene posta nei siti sudafricani e australiani di Ska, o negli osservatori dell’Eso di La Silla, Paranal ed Elt. La proposta di un modello di comunità energetica per AtLast non è nuova, ma è certamente lodevole, anche perché coinvolge la popolazione attraverso un questionario per identificare il peso attribuito a problemi come la riduzione delle emissioni, la diminuzione del costo dell’energia o l’impatto sul territorio. Studi come questo potrebbero però correre qualche rischio di distorsione per effetto della desiderabilità sociale, al punto da rendere difficile replicarne i risultati in altre strutture o situazioni; ma è necessario integrare diverse strategie per affrontare la questione complessa della sostenibilità delle nuove strutture osservative».

CHAJNANTOR
È l’altipiano nel deserto di Atacama che ospiterà il telescopio AtLast, Atacama Large Aperture Submillimeter Telescope.
Crediti: Eso, H.Heyer