Luce, spazio e natura nella transizione da hi-tech a low-tech dello Studio Lemercier. Un connubio che punta a stimolare il pensiero critico, rispetto allo spazio ma anche all’ambiente.
Melbourne, fine agosto 2024. Volge al termine un mite inverno australiano, il secondo più caldo dall’inizio delle misurazioni. Tra le attrazioni che offre la capitale culturale d’Australia, il festival Now or Never propone performance musicali, installazioni d’arte digitale e conferenze su un futuro che è già presente.
Passeggiando lungo la Southbank Promenade, fasci luminosi e invisibili particelle d’acqua formano linee, poligoni e poliedri che invitano a immaginare un cosmo tutto da esplorare. Si chiama Constellations, dura circa un quarto d’ora ed è uno dei pezzi forti del festival. I suoi creatori, però, non ci sono. «Siamo impegnati nel ridurre l’impatto ambientale del nostro progetto», scrivono sui loro canali social l’artista Joanie Lemercier e la curatrice Juliette Bibasse.
L’installazione, ispirata alle più moderne mappe del cielo stellato, come quella 3D che sta realizzando il satellite Gaia dell’Agenzia spaziale europea, ha già fatto il giro del mondo. A partire dal 2018, è stata presentata in Regno Unito, Spagna, Francia, Germania, Norvegia, Australia e Qatar, dove l’hanno potuta ammirare migliaia di persone.
«È un’estetizzazione del simbolismo celeste, unisce le stelle tra loro, ma non c’è un significato più profondo: è un’esperienza bellissima, divertente. Tutto qui», spiega Lemercier a Universi, raccontando la recente transizione ecologica del suo studio artistico. «In tempo di crisi, stiamo cercando di dare più significato al nostro lavoro, affinché non sia solo spettacolo ma sia anche rilevante in quest’epoca di emergenza climatica».
Certo, lo spettacolo è importante: l’effetto “wow” permette di raggiungere un pubblico molto più vasto rispetto a un progetto intellettuale complesso e intricato. È per questo che lo Studio Lemercier, co-diretto da Bibasse e Lemercier a Bruxelles, continua a lavorare con i dati, la tecnologia e la meraviglia per l’universo, ma da alcuni anni ha cambiato approccio, con una transizione radicale verso l’attivismo climatico.
«È stato il fascino stesso per il cosmo, per l’esplorazione spaziale a farci riflettere in maniera più critica, a farci chiedere da dove venga questa fascinazione, questa visione che abbiamo dell’universo», aggiunge Bibasse. «Siamo stati molto ingenui in passato, guardando il mondo dalla prospettiva dei film di fantascienza in cui alla fine si risolve sempre ogni cosa. Ecco perché è importante essere più critici nel nostro rapporto con lo spazio e la sua estetica».
Un primo passo in questa direzione è Cosmos 1999, installazione audiovisiva prodotta nel 2023 che si rifà alla grafica delle agenzie spaziali negli anni Ottanta del secolo scorso. Schermi di computer retrò, pixel giganti e una sensazione da sovraccarico di dati che arrivano dallo spazio profondo. Cosa significa avere così tante informazioni che nessuno, individualmente, riesce a dare un senso al tutto? Abbiamo l’illusione di avere il controllo perché abbiamo tutti questi dati e possiamo sistemare tutto: se siamo in grado di andare sulla Luna e su Marte, saremo in grado di risolvere anche il riscaldamento globale?
Tra i nuovi progetti dello studio, estremamente attenti all’ambiente e con una spiccata vocazione low-tech, ci sono anche installazioni dedicate alla tecnologia solare. L’impatto estetico è sempre molto forte, per cercare di raggiungere milioni di persone e proporre una visione alternativa del futuro, suscitando immagini e conversazioni che rendano la necessità di affrontare i cambiamenti climatici tanto affascinante quanto l’esplorazione della Luna o di Marte.